sabato 29 febbraio 2020

Verdi e le "intenzioni su cui bisogna pensare" nell'interpretare la sua musica

 

Nel giugno 1874 [Verdi] diresse la "Messa [da Requiem]" all'Opéra-Comique di Parigi e vi tornava l'anno dopo, in aprile, passando poi in maggio a Londra, all'Albert Hall, dove faceva ascoltare un nuovo passo, composto per la Waldmann, il "Liber scriptus", che viene subito dopo la cupa declamazione del basso sulle parole "Mors stupebit". In giugno la compagnia si esibì a Vienna, come abbiamo letto in Hanslick, e dove si rappresentò anche "Aida". Il nuovo solo per mezzosoprano non fu eseguito a Parigi per espressa volontà del maestro, che così ne obbiettava alla cantante il 5 marzo del 1875 :

"Voi sapete che ho scritto un 'solo' per voi, ma io non sarei d'opinione di eseguirlo a Parigi. Voi sapete che presso il pubblico le prime impressioni sono sempre terribili, e se anche quel pezzo facesse effetto tutti direbbero: 'era meglio come prima.' Questo sarebbe il compenso che ne caveressimo voi ed io certamente. Aggiungete anche che col tempo così stretto non potreste studiarlo bene. E' facile, facilissimo come 'nota' e come 'musica', ma sapete che VI SONO SEMPRE DELLE INTENZIONI su cui bisogna pensare. Nulla di più facile, per esempio, di quelle quattro note del basso: 'Mors stupebit', eppure tanto difficili a dirsi bene! Non facendo questo pezzo a Parigi, avressimo tempo di passarlo bene insieme nei giorni di riposo, e lo direste poi a Londra ed a Vienna etc. etc. Che ne dite?"

(da: Gustavo Marchesi "Giuseppe Verdi - l'uomo, il genio, l'artista" - I.M.I., 1981)

Do acuto "dolce" da eseguirsi "filato", nell'aria di Aida "O cieli azzurri", come prescritto da Verdi

DO acuto da eseguirsi "dolce", in "O cieli azzurri" dell'Aida di Verdi

Verso la conclusione della seconda aria di Aida, "O patria mia...O cieli azzurri", Verdi prescrive al soprano solista di cantare il DO acuto "dolce", quindi non a piena voce, bensì 'filato' !!! Interpreti-modello rispettose del volere verdiano sono senza dubbio la Rethberg e la Caballé, assieme alla Arangi-Lombardi. 






Verdi su Adelina Patti, da lui considerata la più grande Violetta (lettera del 1877 a Ricordi)


Verdi sulla Patti, da lui considerata la più grande Violetta, scriveva in una sua lettera del 6 novembre 1877 a Giulio Ricordi:

<<Dunque successo...grande... Doveva ben essere! - Voi la sentiste dieci anni fà, ed ora esclamate: "quale cambiamento". V'ingannate! La Patti era allora quello che è adesso: organizzazione perfetta; perfetto equilibrio fra la cantante e l'attrice... Artista nata in tutta l'estensione della parola.
Quando la sentii la prima volta (aveva 18 anni) a Londra, restai stupito non solo della meravigliosa esecuzione, ma di alcuni tratti di scena in cui si rivelava una grande attrice. Mi rammento il contegno casto e pudico quando, nella Sonnambula si posa sul letto del militare e quando, nel D. Giovanni sorte contaminata dalla stanza del libertino. Mi rammento una certa contro-scena nell'aria Don Bartolo nel Barbiere; e più di tutto nel Rec. che precede il Quartetto del Rigoletto quando il padre le mostra l'amante nella Taverna dicendo: "E l'ami sempre?... Io l'amo" risponde. Non v'è espressione che possa esprimere l'effetto sublime di questa parola detta da Lei. - Questo ed altro sapeva dire e fare anche prima di 10 anni fà. Ma molti non volevano convenire allora, e Voi avete fatto come il vostro Pubblico: avete voluto che Essa avesse il vostro battesimo; come se tutti i Pubblici dell'Europa che vanno pazzi per Lei non capissero proprio nulla! Ma "nun sem nun... Milan el prim teater del mond!"... Intanto il buon Pubblico persuaso d'essere nel tempio il più sublime dell'Arte posa e giudica! (Ignorante sempre quando non giudica per impressione). Questo Pubblico che domani per es. riceverà con un saluto cordiale una povera cosa come la Fossa [Amalia Fossa, soprano, godeva in quegli anni di solida reputazione sia nel repertorio drammatico sia in quello leggero], resterà freddo all'apparire della Patti. Questo Pubblico che tante volte ha applaudito replicatamente a furore tante e tante mediocrissime mediocrità, farà appena grazia di una chiamata alla Patti dopo la Cavatina della Traviata! Un'esecuzione senz'esempio... Ah Pubblico Pubblico Pubblico!!...
Se vedete la Patti ditele tante cose per parte mia, e di mia moglie. Non le mando il solito, "mi rallegro", perché mi pare proprio che per la Patti sia la cosa più inutile del mondo: ed Ella sa poi, e molto lo sa, che io non ho aspettato l'esito di Milano, ma che fin da quando la sentii la prima volta a Londra (quasi bambina) la giudicai Cantante ed attrice meravigliosa. Un'eccezione nell'arte.>>

[L'esordio europeo della Patti era avvenuto al Covent Garden di Londra nel maggio del 1861; l'artista era allora diciottenne. Verdi ebbe occasione di ascoltarla per la prima volta nella primavera dell'anno seguente, 1862, allorché si recò a Londra per la prima esecuzione dell' "Inno delle Nazioni" al Her Majesty's Theater. La rivide a Parigi nel 1866. E qui la riascoltò ancora nel 1870, come si apprende da alcune sue lettere; a Giulio Ricordi il 12 aprile 1870 dalla capitale francese: "Meravigliosa la Patti nel Rigoletto e nella Traviata". A Clarina Maffei, poche settimane dopo, sempre da Parigi: "Ho frequentato molto i teatri: in quei di musica nulla di buono, ad eccezione della Patti che è meravigliosa".]

Dopo averla udita in "Traviata" a Genova nel successivo dicembre, ribadiva ad Arrivabene:

<<Qui nulla di nuovo se non che vi furono tre recite della Patti con entusiasmo indicibile. Meritamente, perché è natura d'artista così completa che forse non vi è stata mai eguale! Oh! Oh! E la Malibran?! Grandissima, ma non sempre eguale! Sublime talvolta, e qualche volta barocca!.. Lo stile del suo canto non era purissimo; non sempre corretta l'azione, la voce stridula negli acuti!.. Malgrado tutto artista grandissima, meravigliosa. Ma la Patti è più completa. Voce meravigliosa: stile di canto purissimo: attrice stupenda con un 'charme' ed un 'naturale' che nissuna ha!...>>

Nell'immagine: Adelina Patti as Violetta in the opera La traviata by Giuseppe Verdi, End 1860s-Early 1870s. Found in the collection of Constantine Palace, St. Petersburg. Artist : Repin, Ilya Yefimovich (1844-1930).

"Un trono vicino al sol", conclusione di "Celeste Aida" in "PP morendo" eseguita come prescritto da Verdi

"Un trono vicino al sol", conclusione di "Celeste Aida" in "PP morendo", come prescritto da Verdi

Un esempio di rispetto del volere di Verdi nella conclusione dell'aria "Celeste Aida" lo danno Caruso e Bergonzi! 




I sette maestri di canto consigliati da Giuseppe Verdi

 

I SETTE MAESTRI DI CANTO CONSIGLIATI DA VERDI :

Nel 1877, Ferdinand Hiller, noto direttore d'orchestra e compositore tedesco, indirizzò una lettera a Giuseppe Verdi ponendogli un quesito: a quali insegnanti di canto avrebbe potuto indirizzare alcuni giovani cantanti tedeschi desiderosi di perfezionarsi in Italia? La risposta di Verdi, datata 13 settembre 1877, cominciava così:

"Vorrei poter appagare utilmente le vostre domande, ma non è tanto facile trovare ora buoni maestri di canto. Quelli che in 'diebus illis' conosceva personalmente e artisticamente o son morti, o sono vecchi o non fanno più nulla."

Premesso questo, Verdi nominava cinque insegnanti, residenti a Milano, Firenze o Napoli. Passava quindi a Roma e scriveva che ve n'erano due ottimi: Tosti e Rotoli.

<<Caro Hiller, (...) non è tanto facile trovare ora buoni maestri di canto (...) posso indicarvi fra i migliori il maestro Alberto Leoni; almeno sa cosa sia musica. Se per studiare spartiti Faccio sarebbe ottimo. In Firenze gode fama il Vannuccini, dopo di lui il Palloni. In Napoli il Guercia è il migliore; e là ve ne'è una quantità di cui non saprei nemmeno ricordare i nomi. A Roma ve ne sono due ottimi e sono il Tosti e il Rotoli. Tutti questi sono anche scrittori di musica da camera. Sono manierati nell'armonizzare (e la colpa è un po' della vostra scuola attuale), ma scrivono ancora bene per la voce.>>

[da: "Carteggi verdiani", a cura di A. Luzio, Roma, Reale Accademia d'Italia 1935, II, p. 323; la lettera è datata "Sant'Agata, 13 settembre 1877"]

Con questo la rassegna verdiana dei buoni insegnanti di canto era conclusa: sette in tutto, fra cui Francesco Paolo Tosti.
Tosti aveva allora trentun anni. Nel 1869 s'era fatto conoscere a Roma come cantante di musica da camera e pochi anni dopo era stato nominato insegnante di canto alla corte della principessa ereditaria Margherita di Savoia. Presto era divenuto famoso, come sappiamo, e nel 1880 avrebbe avuto inizio la lunga avventura inglese, alla corte della regina Vittoria e di Edoardo principe di Galles, sempre come maestro di canto. Un "ottimo maestro", secondo Verdi; e, di conseguenza, anche un compositore che scriveva bene per le voci.

[tratto da: Rodolfo Celletti - "La vocalità nella romanza di Francesco Paolo Tosti" in: TOSTI - E.D.T. 1991]

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VERDI INCONTRA TOSTI

"Fu tra noi il maestro Tosti, da Londra, in viaggio per Roma: venne presentato a Verdi, al quale ebbe l'onore di far udire qualcuna delle sue composizioni: l'illustre maestro ebbe parole di schietto elogio e di vera soddisfazione per Tosti, sia come esecutore, sia come compositore." ("Gazzetta Musicale di Milano", 52, 3 dicembre 1883)

N.B. : Il famoso insegnate Alfonso Guercia ebbe fra i suoi allievi anche quello che sarebbe stato poi il grande tenore Fernando De Lucia !!!










Voce verdiana - Fraseggio verdiano

 

VOCE VERDIANA :

"Voce verdiana, lo vogliamo sottolineare e chiarire ancora una volta, è quella che ha il fraseggio verdiano. E il fraseggio verdiano, come quello pucciniano o rossiniano, lo si ottiene da una profonda preparazione tecnica-vocale e una altrettanto profonda conoscenza dell'opera che l'artista deve interpretare, piegando la sua voce alla linea creata dal compositore. Perchè un cliché di voce verdiana, come è intesa, volgarmente: ampiezza, robustezza, colore cupo e drammatico, non esiste e particolarmente per i personaggi femminili.
Per questo concetto, possiamo affermare che Renata Scotto ha una voce verdiana e la sua struggente Gilda ne è una documentazione tangibile."

(da: "Renata Scotto o il trionfo della volontà", di Pierluigi Caviglia - Discografia completa a cura di R. Vegeto, in: "DISCOTECA", novembre 1967)

"Dolce", "dolcissimo", "morendo", "sotto voce", dinamiche (P e PP) nell'Ave Maria di Verdi del 1880

 

Ave Maria di Verdi "volgarizzata da Dante", da non confondere con l'Ave Maria dell'Otello, "musicata per una voce (soprano), con accompagnamento di strumenti d'arco". 

(Sotto trovate riportato il testo con le dinamiche prescritte al soprano solista, non c'è mai scritto altro che P e PP, le indicazioni di forcella cresc. dim. presuppongono nel contesto del brano che si possa in esse arrivare al massimo ad un MF da parte dell'esecutore, notare come indichi anche il "dolcissimo" su un angelico sol diesis acuto e un successivo "dolce", come indichi ben due volte l'indicazione "morendo" e come l'autore implicitamente differenzi l'Ave Regina iniziale in PP dalla ripresa di questo motivo semiparlato-cantato prescritto la seconda volta da eseguirsi "sotto voce").

(PP) Ave Regina, vergine Maria,
Piena di grazia: Iddio è sempre teco:
Sopra ogni donna, (<>) benedetta sia.
(PP) E'l frutto del tuo ventre il qual io preco,
Che ci guardi dal mal, (<>) Cristo Jesù,
Sia benedetto, (PP) e noi tiri con seco.
(PP con espress.) Vergine benedetta, sempre tu
(dolcissimo) Ôra per noi a Dio (PP) che ci perdoni,
E diaci grazia a viver si quaggiù
(<> P) Che'l Paradiso (PP morendo) al nostro fin ci doni.
(sotto voce) Ave Maria, Ave Maria
(PP dolce) ôra per noi a Dio,
ôra per (<>) noi, ôra per noi.

Venne eseguita da Teresina Singer nel concerto della stagione 1880 della Società orchestrale del Teatro alla Scala che si tenne il 18 aprile del 1880 diretto da Franco Faccio (altri compositori in programma furono Bazzini, Palestrina, Ronchetti Monteviti, Cherubini, Lotti, Stradella, Rossini).
Per la scelta della solista nell'Ave Maria, Verdi era d'accordo su Josephine De Reszke (vedi lettera spedita da Genova il 27 gennaio 1880 a Giulio Ricordi, nella quale Verdi dice: "Se vi sarà ancora la De-Reske potrebbe cantare l'Ave. Né crediate che io mi contraddica. Per l'Aida nò; ma per quest'Ave, eccellentissima.") 

Curioso il fatto che nella recensione del "Corriere della Sera" del 19-20 aprile 1880, riportata in Gazzetta Musicale di Milano (XXXV/17, 25.4.1880, Supplemento), l'Ave Maria è definita "un pezzo per contralto e strumenti ad arco" !

Come per il "Pater noster", il testo dell'Ave Maria non è una diretta citazione dantesca, bensì una parafrasi del testo latino della preghiera. Tali parafrasi, attribuite a Dante, risalgono in realtà alla fine del XIV secolo e sono state successivamente attribuite ad Antonio de' Beccari da Ferrara (--> G. Martin, "Aspects of Verdi", New York, Dodd, Mead & Co., 1988, p. 286)

Forza, limpidezza, flessibilità, modulazione, dolcezza della voce della signora Singer nell'Ave Maria di Verdi (1880)

 

Recensioni critiche sulla prima esecuzione dell'Ave Maria di Verdi del 1880 - Supplemento alla Gazzetta Musicale di Milano, n. 17 - "VERDI A MILANO (18 aprile 1880)" - Anno XXXV. - Domenica 25 aprile 1880 :

«L'Ave Maria è un pezzo tutto moderno, una cosa affettuosa, gentile, appassionata a volte, in cui la personalità di Verdi è anche più spiccata. La scrisse in quel tono di SI ch'egli predilige, e che fa ricordare un pochino la romanza della "Forza del Destino" colla tecnica istrumentale della "Messa da Requiem".
Il preludietto coi sordini è una gemma; e poi la voce entra con una cantilena "minore", che si espande poi in "maggiore" con l'espressione appassionata, così bene resa ieri dalla signora Singer. La quale viene da grandi successi ottenuti in America, e le è toccato l'insigne onore che il Verdi la scegliesse per l'esecuzione di questo suo capolavoro melodico. La signora Singer ha guadagnato molto nella forza, nella limpidezza e nella flessibilità della voce, ch'essa piega a finezze di coloriti, a gradazioni bellissime, senza nessuna smanceria, e conservando allo stile dell'Ave Maria la sua purezza. Il primo ad essere contento della interpretazione della signora Singer è stato Verdi, e dopo di lui tutto il pubblico di ieri, che l'ha calorosamente applaudita e festeggiata.
Quelli dei miei lettori che furono ieri alla Scala hanno visto le ovazioni fatte al Verdi, hanno udito quegli applausi, quelle grida, dopo l'esecuzione, "bissata", di tutti e due i suoi pezzi [Pater noster, Ave Maria]. Chi non c'è stato se lo può immaginare, ed io rinunzio a descriverle, tanto più che il tempo e lo spazio mi mancano. Dirò solo che il Verdi volle che con lui venissero a ricevere gli applausi la signora Singer ed il Faccio, e col Faccio erano sottintesi tutti quei benemeriti coristi e professori che con tanto zelo, tanta abnegazione, e un risultato come di meglio non si poteva sperare, si sobbarcano alle fatiche di prove lunghe, assidue, ripetute.» (19 aprile FILIPPI)

«L'Ave Maria, uno dei brani di musica dei più poetici che mai siansi uditi, fece una impressione profonda. La Singer che in principio appariva visibilmente commossa, ottene degli effetti irresistibili colla sua voce or dolce ora squillante, simpaticissima sempre. Rampazzini alla testa dei suoi colleghi violinisti accompagnò con tanta efficacia di colorito, di espressione quella pagina stupenda, che Verdi stesso ne rimase commosso.
L'Ave Maria mette una tal pace nell'animo, colla sua grazia squisita, coll'espressione profonda, col sentimento vero, che dopo uditala par d'essere diventati migliori e sembra di voler un gran bene a tutto il prossimo. Un vecchietto, che sedeva nella poltrona vicina alla mia, dimentico d'ogni carità, ne' suoi entusiasmi mi cacciava a tratti un gomito molto aguzzo tra l'una e l'altra costa con una frequenza degna di miglior causa. Io avrei potuto bellamente liberarmi da quel gomito indiscreto e l'avrei forse fatto, se l'Ave Maria non m'avesse ispirati sensi più miti, talchè farei anche ora a patto d'aver dinanzi quel gomito minaccioso, pur di sentirmi sempre migliore come ieri all'audizione di quella musica.» (19 aprile ATHOS)

IL PUNGOLO
«Venne l'Ave Maria, una composizione piena di malinconia e di passione. La signora Singer la cantò stupendamente, benchè la prima volta fosse in preda ad un'emozione invincibile.
L'orchestra, che ha un accompagnamento pieno di colorito e di mezze tinte, lo eseguì col cuore, e si può dire che fu veramente ispirata.
Nuove ovazioni, come le prime, nuove grida di Viva Verdi!
Verdi ricompare e ringrazia. L'entusiasmo cresce: il pezzo è replicato. La signora Singer lo canta ancora meglio della prima volta, con più sicurezza, con più fuoco. La sua bella voce piena di fibra e di passione, si espande in tutta la sua potenza a mormori, a singulti che fanno una grande impressione.
E qui di nuovo il pubblico in piedi a batter le mani e a gridare: insomma una festa, un delirio.» (19-20 aprile)

CORRIERE DELLA SERA
«L'Ave Maria è un pezzo per contralto e strumenti d'arco. La signora Singer, che lo cantò, aveva uno splendido vestito di raso bianco guarnito di grandi foglie di "callodium". - Anche di questo pezzo si domandò e si ebbe il "bis". - E' una dolcissima melodia, destinata anch'essa a diventar presto popolare; la signora Singer la cantò ammirabilmente. - Terminata che fu, Verdi fu obbligato più volte dall'entusiasmo del pubblico a salire sul palcoscenico, ed a mostrarsi. Il suo aspetto era d'uomo contentissimo, e strinse più volte con energia la mano alla signora Singer ed al maestro Faccio.» (19-20 aprile)

IL SECOLO
«Verdi venne oggi fra noi per assistere alla prima esecuzione di due suoi lavori inediti: un Pater noster ed un'Ave Maria, e venne guidato da un pensiero generoso ed eminentemente artistico.
La somma introitata al concerto di ieri dev'essere destinata parte a beneficio della Società Orchestrale e parte per la istituzione di una grandiosa Società Corale. (...)
Concezione più delicata dell'Ave Maria non saprebbesi ideare, e di una idealità religiosa che incanta. La celebre signora Teresina Singer modulò alla perfezione quella melodica dai contorni sobri, casti, indefiniti, quali esige il carattere della musica sacra. - L'orchestra accompagnò questo pezzo colla soavità dell'arpa eolica. Sembrava udire una mistica voce accompagnata dagli angioli, e tale
"Che la dolcezza ancor dentro ci suona"

(19-20 aprile A. GALLI)

GAZZETTA DI VENEZIA
«L'Ave Maria fu detta dalla esimia artista signora Singer, coll'accompagnamento di soli strumenti d'arco. E' un lavoro stupendo per ispirazione e per istrumentazione.
Non vi si ripete lo stesso motivo che i violini preannuciano delicatamente, e vi si sente invece lo svolgimento melodico d'un pensiero eletto, ricco di gentili soavità. V'è da cima a fondo una mirabile dolcezza di canto a cui fa per un momento contrasto un delizioso parlante degli archi eseguito alla perfezione.
La voce della signora Singer ha dato risalto a tutte le delicatezze del lavoro verdiano ch'è un vero gioiello. Il Pater e l'Ave sono due composizioni di grandissimo merito, degne per ogni rispetto della mente che le ha concepite, e sebbene d'uno stesso stile elevato e nobilissimo, la seconda, a mio debole avviso, vince la prima per la toccante soavità del pensiero. Non vi dico dell'interpretazione e del colorito, egregiamente indivinato dal Faccio, perchè tutto si deve compendiare in un solo elogio. Vi dirò piuttosto che, dopo l'esecuzione di quei due pezzi, il pubblico proruppe in fragorosissimi applausi. - Il Verdi, che si trovava in un palchetto di proscenio, dovette presentarsi in mezzo all'orchestra, tutta in piedi, e che gli batteva pur essa le mani.
Si volle il "bis" del Pater e dell'Ave e la replica ha, mi pare, giovato nell'esecuzione per parte delle masse corali, e fatto meglio gustare le stupende bellezze di cui sono ingemmati. Si acclamò al Verdi, che, non nuovo a siffatte feste, era visibilmente commosso. L'illustre maestro si presentò per ben sette volte, alcune delle quali in compagnia del Faccio e della Singer. Insomma, applausi entusiastici, quali s'odono di rado, e una festa dell'arte, un nuovo e non ultimo trionfo per il Verdi.»
(20 aprile)

IL PUNGOLO
«Quanto ai due pezzi di Verdi abbiamo detto ieri la profonda impressione che destarono nel pubblico, impressione che appunto per la sua collettività non ammette l'analisi. La grandiosità severa e nel tempo stesso facile e semplice del Pater, in cui la frase musicale resta sempre limpida ed evidente, frammezzo alle complicazione del canto - la poesia melanconica e soave dell'Ave Maria - da cui traspirano e tutta quella celestiale idealità di pensieri che nel nome di Maria si concreta, e la fede di chi la invoca - si può dire che fu sentita da tutti gli animi, compresa o indovinata da tutte le menti degli spettatori. E l'entusiasmo generale che suscitarono lo prova ad evidenza.
L'orchestra nei due pezzi strumentali, la Marcia del Bazzini e la Preghiera dello Stradella - fu all'altezza della sua fama, e così negli accompagnamenti, specialmente in quello delicatissimo dell'Ave Maria di Verdi e in quello solenne e grandioso dell'Inflammatus di Rossini.» (20-21 aprile)

IL PUNGOLO
«- Abbiamo ricevuto ieri il Pater e l'Ave dell'illustre Verdi editi dalla casa Ricordi.
Sono due gioielli preziosi di arte litografica e tipografica.
Le copertine e i frontespizi sono lavori artistici di un gusto finitissimo - in cui non sai se più ammirare il pensiero d'arte che li suggerì o la esecuzione perfetta.
Tutti due arieggiano gli antichi messali miniati che erano gloria dell'arte antica - con le iniziali e le maiuscole gotiche - e le figure bizantine a molti colori con le aureole dorate.
Da questo lato crediamo che le edizioni Ricordi, celebri pei loro pregi artistici, abbiano in queste due pubblicazioni raggiunto l'apogeo del buon gusto. - Bisogna vederle per farsene un giusto concetto.» (22-23 aprile)

L'accento che distingue la voce verdiana


L'ACCENTO CHE DISTINGUE LA VOCE VERDIANA

Chi, oggi, nel mondo dell'Opera, ricorda la voce del grande baritono piemontese che nulla ebbe da invidiare alle più grandi voci di ogni tempo nel settore della stessa corda? (...) La discografia non registra la straordinaria vitalità di quella voce che eseguì 70 opere di repertorio. Le grandi voci si rifiutano all'incapsulamento della incisione. Il microfono dà vibrazioni alle voci esigue, e le rifiuta alle insurrezionali. Quale aggeggio meccanico può riprodurre fedelmente l'immensa risonanza della frase di "Amonasro": "Quest'assisa ch'io vesto vi dica che il mio Re, la mia Patria ho difeso", con la quale Viglione, con somma dignità e superba autorità, penetrava nelle orecchie e nel cuore degli spettatori? Frase scolpita con vigoroso accento in ogni parola, che a Parma suscitò sbalordimento di cui i vecchi melomani non hanno ancora perduto la rimembranza nostalgica.
Bergson, sommo filosofo, afferma recisamente: "E' l'accento a dare valore a ciò che diciamo e a ciò che scriviamo. Ciò che stimo in un uomo è l'accento con il quale dice le cose". Altrettanto va detto circa il canto melodrammatico, specialmente per il repertorio verdiano. Una voce verdiana si distingue dalle altre appunto per l'accento, che mette in risalto situazioni drammatiche, di violenza quasi selvaggia, quali si riscontrano nella "Forza del destino", nel "Trovatore", nella "Luisa Miller". In quest'opera, ad esempio, Rodolfo scatta come folgore nella tremenda esplosione tragica: "Maledetto il dì ch'io nacqui, il mio sangue, il padre mio..." Senz'accento, senza dizione incisiva, tagliente, rovente, quel brano non ha valore. Non significa nulla. Viglione Borghese aveva innato il sapore, il gusto della parola cantata e declamata. Sempre, però, dentro della fonazione tecnica, nella legatura dei suoni, nell'aderenza al testo.

[da: G. Lauri-Volpi - "La gioia di cantare" (Le grandi voci della lirica: Domenico Viglione Borghese) - Musica e Dischi, agosto 1974]







venerdì 28 febbraio 2020

Il 'tenore angelico' Angelo Masini definito da Verdi "voce divina, come un velluto"

 

Verdi soleva dire del celebre "tenore angelico" Angelo Masini: “È la voce più divina che abbia mai sentito: è proprio come un velluto”.

Alcune fotografie presenti nella sala del Museo romagnolo del teatro e degli strumenti musicali sito in Palazzo Gaddi, a Forlì, attestano il rapporto di collaborazione diretta del tenore con i grandi compositori del suo tempo, primo fra tutti Giuseppe Verdi, a cui Masini dovette il lancio della carriera internazionale grazie alla tournée europea della sua "Messa da Requiem" nel 1874. Del maestro, che peraltro a lui pensò anche come possibile primo interprete del ruolo protagonista di Otello, si conserva un ritratto fotografico con dedica autografa. 

(Nell 'immagine: Angelo Masini nel ruolo di Radames in Aida di Giuseppe Verdi, Charles Bergamasco, San Pietroburgo, 1881)

Prescrizioni di Verdi sul rispetto esecutivo delle sue opere



PRESCRIZIONI DI GIUSEPPE VERDI SUL RISPETTO ESECUTIVO DELLE SUE OPERE

A Giulio Ricordi - Genova, 11 aprile 1871

Ho letto il vostro articolo, che vi rimando, sull'orchestra, e credo vi sarebbe a ridire:
1) Sulle intenzioni e sull'efficacia istromentali dei Maestri nostri che voi citate.
2) Sulla divinazione dei Direttori... e "sulla creazione ad ogni rappresentazione"...(...) io voglio un solo creatore, e m'accontento che si eseguisca semplicemente ed esattamente quello che ho scritto; il male sta che non si eseguisce mai quello che è scritto. (...) Io non ammetto né ai Cantanti né ai Direttori la facoltà di "creare", che, come dissi prima, è un principio che conduce all'abisso... Volete un esempio? Voi mi citaste altra volta con lode un effetto che Mariani traeva dalla sinfonia della "Forza del Destino", facendo entrare gli "ottoni" in "sol" con un fortissimo. Ebbene: io disapprovo quest'effetto. Quelli ottoni a "mezza voce" nel mio concetto dovevano, e non potevano esprimere altro, che il Canto religioso del Frate. Il "fortissimo" di Mariani altera completamente il carattere, e quello squarcio diventa una fanfara guerriera: cosa che non ha nulla a che fare col soggetto del dramma, in cui la parte guerriera è tutt'affatto episodica. (...)

A Giulio Ricordi - S. Agata, 9 giugno 1894

(...) 1.° Io ho il diritto che le mie opere, come da contratto, vengano eseguite come le ho scritte.
2.° L'Editore deve mantenere tale diritto, e se in Francia, come voi diceste, non ha abbastanza autorità, subentro io come autore e domando che "Falstaff" venga eseguito come io l'ho immaginato.
Domando questo formalmente e deploro che siensi fatte recite all'Opéra Comique in modo mostruoso ed umiliante. (...) io non sono disposto affatto a tollerare questo che io considero come un insulto artistico.

Verdi, il "maestro dei tempi celeri", ed il metronomo

 

VERDI, "THE MASTER OF FAST TEMPOS" ("il maestro dei tempi celeri"), AND THE METRONOME !!!

In 1844, Geremia Vitali offered a description of tempo that seems to reflect Verdi’s own idea:
"Il tempo è . . . un principio essenziale dell'arte: è la vita, l'anima, l'energia fisicomorale d'ogni frase e d'ogni idea: è la scintilla che muove e caratterizza le passioni e i sentimenti della melodia: è il nerbo che collega e sostiene le forme dell'armonia: è il sangue che circola nelle sue vene".

("Tempo is . . . an essential principle of the art of music; it is the lift, the soul, the internal energy of every phrase and every idea; it is the spark that arouses and distinguishes the passions and the sentiments of the melody; it is the nerve that connects and sustains the forms of the accompaniment; it is the blood that flows within its veins".)

[Geremia Vitali, “Proposta d’un nuovo mezzo per determinare con esatezza i tempi musicali,” Gazzetta musicale di Milano 3, no. 20 (1844): 79-80.]

Emanuele Muzio's letter of 20 May 1844 to Antonio Barezzi, in which he mentions articles concerning tempo by Vitali in the "Gazzetta musicale di Milano", testifies to Verdi's familiarity with the well-known musical journal and his interest in its ongoing debate concerning the matter of tempo.
The real problem, of course, was the lack of a precise means for measuring "movimento". The seemingly obvious solution - already in use in other countries - was the metronome. But in Italy in both theory and practice, resistance to the metronome was strong. Reluctance to change established habits, tradition, pride, and even the cost of the device accounted for the unwillingness of musicians in "Primo Ottocento" Italy to adopt it.
Despite objections, however, gradually the metronome began to meet with greater tolerance in Italy, as a series of articles by Luigi Casamorata in Ricordi's "Gazzetta musicale di Milano" during February and March 1846 attests. These essays declare the advantages of incorporating metronome markings into opera scores, explain how the metronome works, and explicitly instruct composers and performers on how to use the device and even how to construct one. Since Verdi subscribed to Ricordi's journal, he surely knew these essays, and there can be little doubt that he read them with an attentive eye. It was undoubtedly not a coincidence, the, that immediately upon the conclusion of Casamorata's series of essays Verdi added metronome markings to an opera for the first time - to "Attila".

[Vide: Casamorata, "Osservazioni, discussioni, proposte" - Gazzetta musicale di Milano 5, no. 9 (1 March 1846) and also no. 6 (8 February 1846), no. 11 (15 March 1846) and no. 13 (29 March 1846)]

In a letter of 30 March 1846, Muzio informed Barezzi: "Nei passati giorni abbiamo posto i tempi in tutto lo spartito [Attila] col Metronomo di Maelzel".

("In the past few days we have placed tempos in the entire score of 'Attila' using Maelzel's metronome".) Verdi did not write metronome markings in the autograph for "Attila" but rather wrote them on a separate folio. The autograph score for "Attila" contains no metronome markings. Instead, after relinquishing the score to his publisher, Francesco Lucca, Verdi wrote the metronome markings on a separate folio along with musical incipits for each major section. The autograph folio is currently in the Gisella Seldon Goth collection at the New York Public Library.From this point onward, incorporating metronme markings into his operas was one of Verdi's priorities. By July 1846 he had evidently assigned metronome markings to "I due Foscari". After this Verdi proceeded to write metronomic equivalents in the scores for his next two Italian operas: "Macbeth" and "I masnadieri". He omitted them from the work that followed, "Il corsaro" (this omission is not surprising, however, since Verdi neither attended the premiere nor participated in the publication of "Il corsaro", and the autograph contains little evidence of revision or of the meticulous attention to detail observed in other autographs!), but included them in "La battaglia di Legnano". He did not write them into his next score, "Luisa Miller", although he later added them to a manuscript copy for a performance in Milan. And Verdi wrote metronome markings into each of his scores from "Stiffelio" to "Falstaff", with the exceptions of "Rigoletto" and "La traviata".
Verdi's use of metronome markings is especially significant since, as a rule, no such measurements can be found in the autograph scores of operas by his Italian predecessors or contemporaries. It would appear that Verdi was one of the first major "Ottocento" composers to include metronome markings in his scores as a routine matter.
(Martin Chusid specifies: "None of the autographs or early piano-vocal editions for operas by Bellini, Donizetti, Pacini, or Mercadante that I have had the opportuinity to examine contains metronome markings. Rossini's Italian operas lack such markings as well, although, not surprisingly, his French scores do include them.")

In April 1844, Verdi wrote to conductor Leone Herz concerning the Viennese premiere of Ernani: “I advise you only that I do not like slow tempos; it is better to err on the fast side than to be too slow.”
("I tempi sono tutti segnati sullo spartito colla possibile chiarezza. Basta badare alla posizione drammatica ed alla parola, difficilmente si può sbagliare un tempo. Avverto solo che io non amo i tempi larghi; è meglio peccare di vivacità che languire". - Lettera di Verdi a Leone Herz, Milano, 18 aprile 1844, istruzioni per una messinscena di "Ernani" all'Opera di Vienna)

In one review of Verdi’s performance of the Requiem in 1877 Cologne, the critic noted the composer’s preference for fast tempos. Verdi came to be known as “the master of fast tempos” ("il maestro dei tempi celeri") according to Opprandino Arrivabene in 1870 (Letter of Arrivabene to Verdi, 17 March 1870), and his tendency toward fast speeds became one of his trademarks.

[cfr. :
- Roberta Montemorra Marvin - "Verdi and the Metronome" - Verdi Forum: No. 20, Article 2 (1992)
- Martin Chusid - "Verdi's Middle Period: Source Studies, Analysis, and Performance Practice" - University of Chicago Press, 1997
- Ick Hyun Cho - "Rediscovering Giuseppe Verdi’s Messa da Requiem". Thesis Prepared for the Degree of Doctor of Musical Arts (Performance), University of North Texas, August 2003]

[The picture shows: LA MESSA DI VERDI SUL PALCOSCENICO DELLA SCALA (from left to right: Maini, Capponi, signora Waldmann, signora Stolz, Verdi) - Disegno dal vero del signor Osvaldo Tofani (1849-1915), incisione del signor Baldi, pubblicata nella "Illustrazione Universale" di Milano del 1874.
Verdi's Requiem - first performance at la Scala - 25 May, 1874. Three days after having played the Requiem Mass in the Church of San Marco, Verdi organized a performance at La Scala, with the same soloists: Teresa Stolz (soprano), Maria Waldmann (mezzo-soprano), Giuseppe Capponi (tenor), Ormando Maini (bass). With La Scala's choir ( for the occasion, 120 choristers) and the full orchestra, of course, directed again by the same Verdi. The success of the Requiem Mass was immense.]

Prescrizioni verdiane per i giovani compositori e cantanti (1871)

 

PRESCRIZIONI DI GIUSEPPE VERDI SUGLI STUDI DA FAR FARE AI GIOVANI COMPOSITORI E CANTANTI

A Francesco Florimo - Genova, 5 gennaio 1871

Car. Florimo,
Se vi ha qualche cosa che possa lusingare il mio amor proprio, si è quest'invito a Direttore del Conservatorio di Napoli che, per mezzo vostro, m'inviano i Maestri dello stesso Conservatorio ed i tanti musicisti della vostra città. E' ben doloroso per me non poter rispondere, come io desidererei, a questa fiducia (...)
Avrei voluto porre, per così dire, un piede sul passato e l'altro sul presente e sull'avvenire (ché a me non fa paura la "musica dell'avvenire") ; avrei detto ai giovani alunni:
«Esercitatevi nella "Fuga" costantemente, tenacemente, fino alla sazietà, e fino a che la mano sia divenuta franca e forte a piegar la nota al voler nostro. Imparerete così a comporre con sicurezza, a disporre bene le parti ed a modulare senz'affettazione. Studiate Palestrina e pochi altri suoi coetanei. Saltate dopo a Marcello e fermate specialmente la vostra attenzione sui recitativi. - Assistete a "poche rappresentazioni" delle Opere moderne, senza lasciarvi affascinare né dalle molte bellezze armoniche ed istromentali né dall'accordo di "settima diminuita", scoglio e rifugio di tutti noi che non sappiamo comporre quattro battute senza una mezza dozzina di queste "settime"». (...)
Nell'insegnamento di canto avrei voluto pure gli studj antichi, uniti alla declamazione moderna. (...)
Torniamo all'antico: sarà un progresso. (...)


Al senatore Giuseppe Piroli - Genova, 20 febbraio 1871

Caro Piroli,
Viste le condizioni e le tendenze musicali dell'epoca nostra, eccovi quanto, secondo me, dovrebbe essere adottato in una Commissione chiamata a riordinare l'insegnamento. Sono idee generalissime, dette a voi tante volte a voce ed in iscritto ed accennate anche nella mia lettera a Florimo.
Non parlerò che del "Compositore" e del "Cantante", perché credo che nella parte esecutiva istromentale (che ha sempre dato ottimi risultati) vi sia poco a riformare.
Vorrei dunque pel giovine Compositore esercizj lunghissimi e severi su tutti i rami del Contrappunto.
Studj sulle composizioni antiche sacre e profane. Bisogna però osservare che anche fra gli antichi, non tutto è bello; quindi bisogna scegliere.

"Nissuno studio sui moderni!" Ciò parrà a molti strano; ma quando sento e vedo in oggi tante opere fatte come i cattivi sarti fanno i vestiti sopra un patron, io non posso cambiar d'opinione. (...) Quando il giovine avrà fatto severi studi; quando si sarà fatto uno stile e che avrà confidenza nelle proprie forze, potrà bene, se lo crederà utile, studiare più tardi queste opere e sarà a lui tolto il pericolo di diventare un imitatore. (...)
Pel "Cantante" vorrei: estesa conoscenza della musica; esercizj sull'emissione della voce; studj lunghissimi di solfeggio come in passato; esercizî di voce e parola con pronunzia chiara e perfetta. Poi, senza che un Maestro di perfezionamento gli insegnasse le affettazioni del canto, vorrei che il giovine forte in musica e colla gola esercitata e pieghevole cantasse guidato solo dal proprio sentimento. Non sarebbe un canto di scuola, ma d'ispirazione. L'artista sarebbe un'individualità; sarebbe "lui" o, meglio ancora, sarebbe nel melodramma il personaggio che dovrebbe rappresentare.
E' inutile il dire che questi studj musicali devono essere uniti a molta cultura letteraria.

Eccovi le mie idee. - Potranno queste venire approvate da una Commissione? - Sì? Eccomi allora pronto agli ordini del Ministro. - No?... Val meglio che me ne ritorni a S. Agata.

Il canto come "espressione poetica dell'anima" secondo Giuseppe Verdi

Intervista a Giuseppe Verdi, intitolata "Verdi in Wien", pubblicata su "Neue Freie Presse" - Vienna, 9 giugno 1875

IL CANTO COME "ESPRESSIONE POETICA DELL'ANIMA" SECONDO GIUSEPPE VERDI :

“Certo che in Germania non mancano le voci, esse sono quasi più sonore di quelle italiane, ma i cantanti considerano il canto come una ginnastica, si occupano ben poco di perfezionarsi e aspirano solo a crearsi un vasto repertorio entro il più breve tempo possibile. Non si prendono la briga di mettere nel loro canto un bel fraseggio; tutta la loro aspirazione non consiste altro che nell’emettere questa o quella nota con grande potenza. Perciò il loro canto non è un’espressione poetica dell’anima, bensì una gara fisica del loro corpo.”

(da un’intervista a Giuseppe Verdi, intitolata "Verdi in Wien", pubblicata su "Neue Freie Presse" - Vienna, 9 giugno 1875)

L'opinione di Verdi sul canto (1875)

"L'opinione di Verdi sul canto", in "Signale für die musikalische Welt", Leipzig, XXXIII, 33: luglio 1875

L'OPINIONE DI VERDI SUL CANTO (1875)

«Si è talvolta ingiusti verso i cantanti italiani quando li si accusa di trascurare la scena per amore del "belcanto". E però quanti cantanti vi sono che riuniscono le due cose, che sanno cantare e recitare? Nell'opera comica le due cose unite sono facili. Ma nell'opera tragica! Un cantante che è preso dall'azione drammatica, a cui vibra ogni fibra del corpo, che s'immedesima totalmente nel ruolo che rappresenta, non troverà il giusto tono. Forse per un minuto, ma nel successivo mezzo minuto egli canta già falso o la voce gli viene a mancare. Per l'azione e il canto raramente sono sufficienti forti polmoni. E pertanto sono dell'opinione che nell'opera la voce ha soprattutto il diritto di essere ascoltata. Senza voce non vi è canto giusto

(da: "L'opinione di Verdi sul canto", in "Signale für die musikalische Welt", Leipzig, XXXIII, 33: luglio 1875, p. 521)


VERDI ON SINGING:

«Italian singers are often unjustifiably criticized for neglecting acting for the sake of "bel canto". Yet how many singers are there who combine both, who can act and sing? In comic opera both are easily combined. But in tragic opera! A singer who is moved by the dramatic action, concentrates on it with every vibrant fibre of his body and is utterly consumed by the role he is portraying, will not find the right tone. He might for a minute, but in the next thirty seconds he will sing in the wrong way or the voice will simply fail. A single lung is rarely strong enough for acting and singing. And yet I am of the opinion that in opera the voice has, above all, the right to be heard. Without a voice true singing cannot exist.»

(from: "L'opinione di Verdi sul canto", in "Signale für die musikalische Welt", Leipzig, XXXIII, 33: July 1875, p. 521)

Criteri verdiani di valutazione dei cantanti: dall'attrice-cantante alla vocalista

 

I criteri con i quali Verdi giudicava i cantanti erano quasi sempre in funzione delle parti che essi dovevano sostenere. In alcuni casi, della potenza della voce e della bellezza timbrica non gli importava nulla. Al tempo delle prime esecuzioni della "Traviata", esaltò la Piccolomini, la Spezia e la Boccabadati. "Tutte e tre hanno voce debole, ma talento, anima e sentimento di scena" (a Torelli, 11 novembre 1856).

La verità è che, come spiegò al Ricordi l'11 maggio 1887, Verdi vedeva come Desdemona non un'attrice-cantante, ma una vocalista.

"Desdemona canta dalla prima nota del Recitativo, che è una frase melodica, fino all'ultima nota, 'Otello non uccidermi', che è ancora una frase melodica. Quindi la più perfetta Desdemona sarà quella che canta meglio."

Il dovere di ricercare "i coloriti, l'espressione e l'intelligenza" secondo Verdi

 


Il concetto verdiano di "parola scenica" e di fraseggio implica varietà d'accento, di colori e d'intensità. 
Nel gennaio 1863 Verdi si trovava a Madrid per mettere in scena la "Forza del destino" e Tito Ricordi gli spedì le parti di canto e il materiale d'orchestra. Verdi esaminò il tutto e si sentì "gelare il sangue nelle vene", per gli innumerevoli errori dei copisti. Tra l'altro, scrisse all'editore,

"mai o quasi mai nelle parti cantanti un'indicazione di frase, mai i cresc... rall... stent... pppp... ecc., qualche F o P semplice. In questo modo la musica diventa solfeggio."

Un'esecuzione simile, aggiunge poco dopo Verdi, è

"a controsenso, senza coloriti, senza espressione, senza intelligenza".

Se ne deduce che tutti i cantanti che, emulano i copisti della Ricordi, omettono sistematicamente l'esecuzione dei segni d'espressione, non interpretano, ma "solfeggiano" e sono quindi dei robot. Se vogliamo dare ragione a Verdi.

Adelina Patti e "l'effetto sublime" dell' "Io l'amo" di Gilda - ossia la cura del dettaglio nell'interpretare un ruolo verdiano

 

Nelle opere più felici di Verdi tutto è "parola scenica", in fondo, anche il dettaglio infinitesimale.

In uno dei suoi numerosi elogi di Adelina Patti (a Giulio Ricordi, 5 novembre 1877) Verdi non ricorderà, del "Rigoletto" interpretato dal celebre soprano, l'esecuzione di "Caro nome" o di "Tutte le feste al tempio", ma "l'effetto sublime" dell' "Io l'amo" di Gilda allorché il padre, all'inizio del IV atto, mostrandole il Duca nella taverna, le chiede se l'ami ancora. Si tratta di tre sole note, semplicissime, elementari, vocalmente; eppure, a detta di Verdi, l'effetto era "sublime". In questo Verdi coincide con il rossiniano Stendhal, secondo il quale era soprattutto "l'infinitamente piccolo" (cioè la sfumatura) a distinguere il grande interprete dal pappagallo. E dunque il cantante incapace di sfumare e di valorizzare i dettagli non sarà mai "sublime" in Verdi.

Il tenore G.B.De Negri e la necessità del canto a "mezza voce" per lunghe frasi di Otello

Giovanni Battista De Negri nei panni di OTELLO

A proposito dell' "Otello", è noto che Verdi esitò molto prima di scegliere come protagonista Francesco Tamagno. Giacché, scriveva Verdi a Giulio Ricordi, Tamagno era incline a cantare sempre forte e, se tentava la mezzavoce, il suono diventava "brutto, incerto, stonato". Nell' "Otello", continuava Verdi, vi erano frasi larghe, lunghe, legate

"da dire a MEZZA VOCE, cosa impossibile per lui". 

Più tardi Verdi si rassegnò a Tamagno, ma quando udì Giovanni Battista De Negri, voce meno folgorante e stentorea, ma cantante più rifinito, espressivo e musicale, lo preferì di gran lunga, come da lettera a Giulio Ricordi del 5 febbraio 1889. I punti di forza di Tamagno, scrisse Verdi, erano, nell' "Otello", l' "Esultate", l' "Ora e per sempre addio" e "qualche altro sfoggio di voce". In tutto il resto De Negri (che però era anche lui applaudito nell' "Esultate" e doveva bissare l' "Ora e per sempre addio") era nettamente superiore.


"Il canto oggi non si studia più" - da un'intervista al mitico tenore Angelo Masini del 1924


IL CANTO OGGI NON SI STUDIA PIU' (da un'intervista al mitico tenore Angelo Masini *) - "La Riviera Romagnola", 20 marzo 1924

Masini : « Ho chiuso i miei 42 anni di carriera in Italia, a Faenza, il 1903, con "I Pescatori di perle" e con la "Traviata" ("Violetta" la Tetrazzini; all'estero, il 1905, a Parigi col "Barbiere di Siviglia") »

- Dunque... quante furono le opere del suo repertorio?

Masini : « 107, di Verdi, Donizetti, Bellini, Rossini, Gounod, Wagner (Lohengrin e Maestri Cantori), Boito, Halévy, Gomez, Petrella, Massenet (Manon) e Mascagni (Cavalleria e Amico Fritz). »

- E, ritiratosi dalla scena non ha cantato più?

Masini: « In pubblico, no. Quando un artista dà l'addio al teatro, il suo deve essere un passo definitivo. A 78 anni ho la voce - come qualità - identica a quella dei miei 30 e non trema, ma non supera il La naturale. Le mancano, però, a sostenerla i polmoni ed il cuore. »

- Né ha impressionato dischi fonografici?

Masini: « Mai, sebbene avessi ottime offerte. Allorché smisi di cantare, i fonografi erano assai lontani dalla perfezione odierna. »

- Come spiega il numero esiguo dei buoni artisti lirici del giorno d'oggi e la brevissima durata della loro voce?

Masini: « Non si studia più. Prima occorrevano cinque anni per debuttare: ora cinque mesi sono troppi. Prima c'erano pochi maestri e degni di questo nome: ora ce n'è una pleiade. Prima la scuola ed il metodo rappresentavano tutto: ora - o perché la musica è facile, o perché la musica antica è ostica - ci si cura assai leggermente e dell'una e dell'altro. Così le carriere si riducono ai minimi termini. I buoni - a' miei tempi aurei - sommavano ad una quarantina e si chiamavano Mario Ancora (il cui dagherrotipo mi accompagna sempre come il migliore dei talismani), Nordaen, Nicolini, Tiberini, Barbaccini, Prudenza, Gayarre, Giulini, Mongini, cui seguirono Tamagno, Stagno, Battistini, Malvezzi. Adesso - morto Caruso - rimangono Bonci, che declina, e Gigli, che è all'apice della parabola. Ella consideri la distanza che ci separa dall'epoca del bel canto italiano. »

[* UNA VISITA AD ANGELO MASINI. Come i nostri lettori sanno il celebre tenore Angelo Masini emigra tutti gli anni all'avvicinarsi dell'inverno dalla sua abitazione di Forlì in Corso Vittorio Emanuele per recarsi alla splendida villa che sorge sul Vomero dominante la allegra e festante Napoli. Un redattore del Messaggero di roma, il Prof. Guseppe Cavaciocchi, si è recato a visitare l'illustre artista...]

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AVVICINANDO IL COMM. ANGELO MASINI
Chi ha avuto la fortuna di seguire Angelo Masini nella sua trionfale carriera; chi ha gustato tutta la delicatissima armonia della sua voce, chi l'ha visto agire sul palcoscenico è oggi in grado di scrivere e di documentare la narrazione di molteplici episodi da costituire un vero "vade-mecum" per i giovani che intendono darsi allo studio del "bel canto". Noi no perché da poco tempo abbiamo l'alto onore di avvicinare il Comm. Angelo Masini, e non il sommo godimento di averlo sentito cantare (...)
Ho assistito in questi giorni ad alcune lezioni di canto impartite dal Comm. Angelo Masini alla brava ed intelligente Signorina Nina Sansoni di Faenza e dal metodo di insegnamento mi sono fatto un concetto del "come" il sommo artista abbia saputo cantare. (...) parola chiara, dizione accurata, frase limpida. Non sciupio di voce. Bisogna peccare di avarizia. Il cantante non deve andare in cerca dell'applauso ad ogni costo. Canti con finezza, e intonazione, moduli la voce, dia espressione, colorito e curi anche i più minuti particolari. L'artista deve piacere in tutto il suo insieme. A tempo opportuno avrà la "frase" d'effetto che manderà in delirio il pubblico. Guai all'artista che cantasse sempre forte. Guai a chi trascinato dal trionfo clamoroso del pubblico forzasse la propria voce: ne verrebbe alterazione al proprio metodo di canto creato con paziente e lungo studio. E con questi criteri fondamentali il Masini fa scuola alla sua allieva, insegnando anche il metodo di presentarsi in pubblico e di "stare" in palcoscenico. Tutto concorre a creare il vero, il provetto, il grande, il perfetto artista. Angelo Masini passa ora il suo tempo sempre lavorando. S'alza di buon mattino, s'interessa di lavori agricoli e de' suoi coloni. Dà lezioni di canto; incoraggia artisti che tali veramente dimostrano d'esserlo. Vive silenziosamente con semplicità. Conversa volentieri con "pochi amici", parla mai di sé; schivo di onori e odiatore impenitente degli adulatori. Lenisce nascostamente miserie, porge la mano sua benefica ai poveri: è sempre primo in ogni pubblica sottoscrizione. Il Comm. Angelo Masini non ha ambizioni da soddisfare, non copre cariche pubbliche. Di tutte le filantropiche associazioni cittadine, è e vuol essere semplicemente socio. Di tutte le onorificenze di cui è insignito una tiene oltremodo cara: una piccolissima moneta in bronzo nella quale è inciso da un lato il nome di "Angelo Masini" e dall'altro: "Diede oro alla Patria". Così vive a Forlì il Re del Bel Canto, il Trionfatore Eccelso dei più grandi Teatri Mondiali.

(Edoardo Ceccarelli - Forlì, Ad Angelo Masini, 27 novembre 1924)

Antonio Cotogni, celebre interprete verdiano, su alcuni principi tecnico-vocali del Belcanto

Tra i cantanti verdiani dell'epoca di Verdi, ce n'è uno il celebre baritono Cotogni che ha lasciato in eredità alle nuove generazioni alcune indicazioni sul canto. Ne citiamo qui alcune delle più importanti. Buona lettura!

 

Antonio Cotogni sull'importanza fondamentale del controllo del fiato nel canto lirico :

«Il mio ultimo insegnante fu il Maestro Ricci, Luigi Ricci. E da lui ho imparato le piccole, grandi cose. Sembra impossibile che una piccola cosa possa essere grande, ma era così. Egli rimase con Cotogni sino al momento della sua scomparsa, ed apprese così tanto da lui. Cotogni diceva sempre ai suoi studenti: "RAGAZZI, SAPER RESPIRARE E SAPER SOSTENERE, SI SA CANTARE"» !!!

«My last teacher was Maestro Ricci, Luigi Ricci. And from him I learned le piccole, grandi cose [the “little, big things”]. It seems impossible that a little thing could be big, but that's how it was. He was with Cotogni until the latter's death, and he took away much from him. Cotogni always said to his students, “RAGAZZI, SAPER RESPIRARE E SAPER SOSTENERE, SI SA CANTARE.”» [“Ragazzi, if you know how to breath and you know how to sustain, you know how to sing.”] !!!

(da un'intervista a Magda Olivero di Leonardo Ciampa, aprile 2006, riportata in: Leonardo Ciampa - "GIGLI" - Natick, MA, Arts Metrowest, 2014)


 

IL SEGRETO DI ANTONIO COTOGNI DEL "FORMARE MENTALMENTE" OGNI SUONO VOCALICO!!!

<<Antonio Cotogni, admittedly Italy's greatest baritone of all time, and brilliant exponent of the old School, gave the author the following advice in 1907 when a student in Rome - advice which is correlated to and confirms Gigli's own statements, and practice, on this very subject: "Remember that always you must MENTALLY SHAPE EACH VOWEL and impart to it the right colour, timbre, and expression BEFORE actually producing it". And when, somewhat astounded and very much impressed (not having heard of such a thing before) I almost demurred: "What, always, and every vowels sound?" Cotogni answered: "Yes, every vowel and always, for as long as you are a singer and sing; the habit is soon acquired, and such thinking before doing becomes really quite an easy matter".>>

<<Antonio Cotogni, certamente il più grande baritono italiano di tutti i tempi, e brillante esponente dell'antica Scuola, diede all'autore il seguente consiglio nel 1907 allora studente a Roma - che conferma le affermazioni e la pratica di Gigli su questo tema: "Ricorda che devi sempre FORMARE MENTALMENTE OGNI VOCALE e darle il giusto colore, timbro ed espressione PRIMA di produrla realmente". E quando alquanto stupefatto e molto impressionato (non avendo sentito parlare di una cosa del genere in precedenza) quasi esitavo: "Che cosa, sempre e ogni suono vocalico?" Cotogni rispondeva: "Sì, ogni vocale e sempre fin quando tu sei un cantante e canti; l'abitudine si acquisisce presto e questo pensare prima di fare diviene una cosa del tutto facile".>>

(da: Edgar Herbert-Caesari - "The Voice of the Mind", 1951) 


 

IL SEGRETO DI ANTONIO COTOGNI DEL "CHIARO-SCURO" NEL TONO VOCALE!

<<The great Antonio Cotogni explained to me, in 1907, the subtle significance of "chiaro-scuro" (light-dark) in vocal tone. It conveys the idea of a clean, bright tone with a darkish rim round it, and vice versa, a darkish tone with a bright rim. It means a beautifully balanced tonal colouring of light and shade. The good singer is able to produce at will nuances of either type.>>

<<Il grande Antonio Cotogni mi spiegò, nel 1907, il sottile significato del "chiaro-scuro" nel tono vocale. Dà l'idea di un tono pulito e chiaro con un contorno piuttosto scuro intorno a questo, e vice versa, un tono scuro con un contorno chiaro. Ciò significa una colorazione tonale di luce ed ombra meravigliosamente bilanciata. Il buon cantante è capace di produrre, a suo piacimento, sfumature di entrambi i tipi.>>

(da: Edgar Herbert-Caesari - "The Voice of the Mind", 1951)


 

Gigli: <<A Santa Cecilia, Cotogni mi diceva di far prendere alla gola la posizione dello sbadiglio, e, a settantadue anni, me lo insegnava come faccio io adesso.>> (E l' "appoggio coperto" di Gigli risuona ancora, ineguagliabile, nella sala.)

(dall'articolo di giornale, "Milano. Gigli, insegnaci a cantare" - Il Popolo d'Italia, 1 marzo 1938)

[Nella foto: Beniamino Gigli durante l'insegnamento al Conservatorio di Milano nella sua Masterclass del '38]


 

Giacomo Lauri-Volpi: Cotogni diceva: "con la stessa emissione dell'acuto scendete giù all'ottava bassa e voi troverete il punto d'appoggio" !!!

<<Cotogni mi diceva: Allerta, eh! non caricate i centri (...) il tenore deve cantare nel centro, ma non può gonfiare il centro (...) innanzitutto il canto è alito vibrante, se questo alito, se questo fiato noi non lo mandiamo alla cassa armonica, non lo mandiamo agli armonici, e si canta di petto o si canta con l'addome, che succede? che la voce non trova la via d'uscita, mentre la voce deve essere tutta passata fin dal registro basso (...) Cotogni diceva: Attaccate gli acuti e poi scendete giù, con la stessa emissione dell'acuto scendete giù all'ottava bassa e voi troverete il punto d'appoggio>>

Da un'intervista a Lauri-Volpi effettuata nel 1974 da Rodolfo Celletti, trasmessa dalla RAI nel programma "Una vita per la musica"


 
  
Giacomo Lauri-Volpi: NON INGROSSATE I CENTRI !!!

<<il mio maestro Cotogni diceva: Figlio mio, canta nei centri, ma risolvi negli acuti, perché il centro è proprio dei baritoni, il registro basso è dei bassi, ma non indugiate, non ingrossate i centri perché aumentate il volume; IL VOLUME NELLE VOCI E' COME IL GRASSO NEI CORPI, NON E' MUSCOLO. E questo dogma cotognano io l'ho avuto sempre presente, e infatti non m'ha nociuto...e infatti forse sono una delle poche gole che non ha avuto noduli alle corde vocali>>

Da un'intervista a Lauri-Volpi effettuata nel 1974 da Rodolfo Celletti, trasmessa dalla RAI nella trasmissione "Una vita per la musica" 

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Per approfondimenti su Antonio Cotogni, vi invitiamo a leggere il seguente articolo: 

 

Adelina Patti sull'importanza di coltivare i centri e di non forzare mai la voce

Ecco alcuni importanti consigli vocali di Adelina Patti, cantante-attrice prediletta da Verdi in ruoli come quelli di Gilda (Rigoletto), Leonora (Il trovatore) e soprattutto Violetta (La traviata), ma si cimentò anche in Aida, essendo stata la prima interprete londinese del ruolo principale nel 1876.

Adelina Patti spiega l'importanza del coltivare i centri nel canto lirico
  
Adelina Patti svela i segreti per preservare a lungo la voce: coltivare i centri (I)

<<People who cultivate the voice have widely different ideas on what constitutes the best method of its preservation. If I gave lessons, I should cultivate the middle notes, and the voice of the singer would be good at the age of a hundred. The whole harm to a voice comes in pushing it up and down, in trying to add extra notes to its compass.
"How high can you sing?" appears to be the question. But what about the foundation part of the voice — that is, the middle notes? My success is founded on those notes, and there can be no enduring success without them. (...)
Without the beautiful middle notes there is no cantabile, and upon the proper development of these and the avoidance of strain by forcing high and low notes the enduring powers of the singer depend.
High gymnastics are very beautiful; but lose the middle notes, and you lose all. (...)
The tremolo, one of the most objectionable and unbearable of vocal faults, is but a phase of this forcing, and comes of the spreading of the vocal cords through straining. (...)
The middle voice is the one that you need to sing with. I sing comfortably.
If you want to sing for years, do not strain the natural compass of the voice. That is like living on capital. I have always lived within my income, and I have always had something to put aside.>>

<<Le persone che coltivano la voce hanno idee molto diverse su ciò che costituisce il metodo migliore di conservarla. Se io insegnassi, coltiverei le note centrali, e la voce del cantante sarebbe in salute all'età di cent'anni. L'intero danno che si fa ad una voce viene dal volerla spingere su e giù, nel tentativo di aggiungere note in più alla sua estensione.
"Quanto acuto puoi cantare?" pare essere il quesito. Ma che dire della parte basilare della voce — vale a dire, le note centrali? Il mio successo si fonda su quelle note, e senza di loro non vi può essere alcun fruttuoso risultato duraturo. (...)
Senza le belle note centrali non v'è cantabile, e dal loro corretto sviluppo e dal sottrarsi allo sforzo causato forzando le note acute e gravi dipendono le energie durature del cantante. La ginnastica negli acuti è molto bella; ma perdete le note centrali, e perderete tutto. (...) Il tremolio della voce, uno dei più sgradevoli e insopportabili difetti vocali, non è che una fase di questa forzatura, ed è il risultato del dissipare le corde vocali sforzandole. (...)
La voce media è quella con la quale bisogna cantare. Io canto comodamente. Se si vuole cantare per anni, non si forzi l'estensione naturale della voce. Sarebbe come vivere basandosi sul capitale. Io ho sempre vissuto entro il mio reddito, e mi sono sempre tenuta qualcosa da mettere da parte.>>

(tratto da: "Madame Patti's Advice to Singers, her own rules for preserving the voice - Dictated by Madame Patti to William Armstrong, and revised by her for publication" apparso sulla rivista americana "The Saturday Evening Post", l'8 agosto 1903)


Adelina Patti sull'importanza di non forzare mai la voce

Adelina Patti svela i segreti per preservare a lungo la voce: non forzare mai la voce (II)

<<Very often students wear out their voices with overstudy before they appear in public. They destroy the freshness of the voice by singing too much. (...)
It was my brother, Mr. Ettore Barili, who laid the foundation of my singing, and his method to-day is taught by my nephew, Alfredo Barili. (...) My golden rule in singing is to spare myself until the voice is needed, and then never to give it all out. Put it in the bank. I do not push my voice for the pleasure of the moment. If you are prodigal of your powers at such times, the next time you wish to be generous you cannot.
There is an old Italian proverb that I hold fast to as my guide: "Who goes slowly goes safely : who goes safely goes far." I have always followed that course in the use of my voice. Consequently I have it at command when I need it. (...)
The true secret of preserving the voice is not to force it and not to sing when one ought not to.>>

<<Gli studenti, spessissime volte, s'esercitano eccessivamente consumando la voce prima d'apparire in pubblico. Essi, cantando troppo, distruggono la freschezza della voce. (...)
Fu mio fratello, il Sig. Ettore Barili, a porre le fondamenta del mio canto, ed il suo metodo oggi viene insegnato da mio nipote, Alfredo Barili. (...) La mia regola d'oro nel canto è quella di risparmiarmi finché occorra avere voce, e poi di non esaurirla mai tutta. Mettete la voce in banca. Io non spingo la mia voce per il piacere del momento. Se si dissipano le proprie energie in quei momenti, la prossima volta che si voglia essere generosi non lo si potrà essere.
C'è un vecchio proverbio italiano al quale tengo fede come fosse la mia guida: "Chi va piano va sano e va lontano". Ho sempre seguito questa via nell'usare la mia voce. Di conseguenza l'ho a disposizione quando ne ho bisogno. (...)
Il vero segreto per preservare la voce è quello di non forzarla e di non cantare quando non si dovrebbe.>>

(tratto da: "Madame Patti's Advice to Singers, her own rules for preserving the voice - Dictated by Madame Patti to William Armstrong, and revised by her for publication" apparso sulla rivista americana "The Saturday Evening Post", l'8 agosto 1903)

La VOCE VERDIANA secondo VERDI

Il maestro Verdi ringrazia il pubblico scaligero dopo aver seguito Rossini nel 1892, per il Centenario rossiniano « La voce – scriveva Verd...