venerdì 28 febbraio 2020

Il dovere di ricercare "i coloriti, l'espressione e l'intelligenza" secondo Verdi

 


Il concetto verdiano di "parola scenica" e di fraseggio implica varietà d'accento, di colori e d'intensità. 
Nel gennaio 1863 Verdi si trovava a Madrid per mettere in scena la "Forza del destino" e Tito Ricordi gli spedì le parti di canto e il materiale d'orchestra. Verdi esaminò il tutto e si sentì "gelare il sangue nelle vene", per gli innumerevoli errori dei copisti. Tra l'altro, scrisse all'editore,

"mai o quasi mai nelle parti cantanti un'indicazione di frase, mai i cresc... rall... stent... pppp... ecc., qualche F o P semplice. In questo modo la musica diventa solfeggio."

Un'esecuzione simile, aggiunge poco dopo Verdi, è

"a controsenso, senza coloriti, senza espressione, senza intelligenza".

Se ne deduce che tutti i cantanti che, emulano i copisti della Ricordi, omettono sistematicamente l'esecuzione dei segni d'espressione, non interpretano, ma "solfeggiano" e sono quindi dei robot. Se vogliamo dare ragione a Verdi.

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