Il concetto verdiano di "parola scenica" e di fraseggio implica
varietà d'accento, di colori e d'intensità.
Nel gennaio 1863 Verdi si
trovava a Madrid per mettere in scena la
"Forza del destino" e Tito Ricordi gli spedì le parti di canto e il
materiale d'orchestra. Verdi esaminò il tutto e si sentì "gelare il
sangue nelle vene", per gli innumerevoli errori dei copisti. Tra
l'altro, scrisse all'editore,
"mai o quasi mai nelle parti cantanti un'indicazione di frase, mai i
cresc... rall... stent... pppp... ecc., qualche F o P semplice. In
questo modo la musica diventa solfeggio."
Un'esecuzione simile, aggiunge poco dopo Verdi, è
"a controsenso, senza coloriti, senza espressione, senza intelligenza".
Se ne deduce che tutti i cantanti che, emulano i copisti della Ricordi, omettono sistematicamente l'esecuzione dei segni d'espressione, non interpretano, ma "solfeggiano" e sono quindi dei robot. Se vogliamo dare ragione a Verdi.
Un'esecuzione simile, aggiunge poco dopo Verdi, è
"a controsenso, senza coloriti, senza espressione, senza intelligenza".
Se ne deduce che tutti i cantanti che, emulano i copisti della Ricordi, omettono sistematicamente l'esecuzione dei segni d'espressione, non interpretano, ma "solfeggiano" e sono quindi dei robot. Se vogliamo dare ragione a Verdi.
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