<<Carissimo Du Locle, ho ricevuto "Patrie!" che ho letto d'un fiato. Bel dramma, vasto, potente e soprattutto scenico. Peccato che la parte della donna sia di necessità odiosa. Vi è, fra le tante, una situazione che trovo particolarmente nuova; quando i congiurati scappano e seppelliscono sotto la neve la pattuglia spagnola. Bella e nuova! Grazie mille volte grazie, mio caro Du Locle, di non aver scordato di mandarmi questo bel Dramma che m'ha fatto passare un'ora deliziosa e che mi ha fatto ammirare sempre più l'ingegno di Sardou>>.
Si faccia attenzione alla frase: "Peccato che la parte della donna sia di necessità odiosa". E' la prima volta, in oltre trent'anni di teatro in musica, che Verdi fa un'affermazione del genere. Lui ha sempre cercato, nei vari personaggi che ha musicato, la forza, la verità, il gioco chiaroscurato della psicologia, l'intensità e la verità umana. Non si è mai preoccupato se una donna era buona o cattiva. E' rimasto affascinato - e in che maniera potente e che musica ne ha ricavato - da Lady Macbeth. Adesso, però, vuole un'opera in cui la donna sia protagonista positiva, sia piena di buoni sentimenti. Magari vittima e soccombente, ma tale da attirare l'ammirazione del pubblico. E la ragione è semplice. Se oggi pensa a un nuovo melodramma, pensa a una protagonista femminile. E questa protagonista è, dev'essere, la Stolz. (...)
A poco a poco la storia di "Aida" viene prendendo corpo nella sua mente. Chiede un librettista che gli scriva i versi. Passa un po' di tempo, arriva giugno ed ecco che Verdi reclama un intervento dell'editore presso Ghislanzoni perché questi gli stenda il libretto. Poi, ottenuto l'intervento e avendo dato questo esito positivo, il Maestro invita e l'uno e l'altro a Sant'Agata. Ci si mette attorno a un tavolo e si parla a fondo di questa benedetta "Aida" che dovrà essere rappresentata al Cairo, in occasione della solenne apertura del canale di Suez. Bisogna far presto, occorre lavorare bene e svelto. (...)
Il Maestro in questo momento sente che deve tralasciare tutto per dedicarsi completamente ad "Aida". Ci sono nuovi problemi da risolvere, problemi che investono una sua più completa e composita maniera di esprimersi. Come sempre, quando deve comporre, Verdi è preso da attacchi di mal di gola che, talvolta, gli fanno venire anche la febbre. Ma ci è abituato e non se ne cruccia più di tanto, anche se non riesce a sopportare la minima contrarietà per la sua salute. A suo tempo ha comunicato al Du Locle parere favorevole sul <<programma Egiziano. E' ben fatto; è splendido di "mise en scene", e vi sono due o tre situazioni, se non nuovissime, certamente molto belle>>. Ha persino messo a posto le questioni economiche. Non scrive se prima non ha stabilito il compenso e come riceverlo e tutto il resto. Per "Aida" le sue condizioni sono queste: libretto italiano a spese dell'Autore della musica, invio sempre a suo carico di un dirette d'orchestra al Cairo, proprietà del libretto e dello spartito per il solo regno d'Egitto, <<ritenendo per me la proprietà del libretto e della musica, per tutte le altre parti del mondo. In compenso, mi si pagherà la somma di centocinquantamila franchi, pagabili a Parigi dalla Banca Rotschild, al momento in cui verrà consegnato lo spartito. (...)>>
Verdi pensa ad "Aida" e stende la parte della protagonista tenendo ben fisso in mente l'arco delle possibilità vocali della Stolz. (...) Mai come in questo caso Verdi è stato così attento e così sicuro, così preciso nelle cose che vuole. La celebre romanza, per esempio, "Se quel guerrier io fossi", la detta per lettera al librettista, quasi parola per parola. Dice, per esempio, di aver bisogno di frasi del tipo:
"Oh foss'io quel guerriero! E ritornare potessi carico di gloria e di allori e deporre ai piedi della mia bella Aida la spada vincitrice".
Sulle prime la situazione non piace al Ghislanzoni che, invece di scrivere quanto gli è stato richiesto, manda dei versi che suonano così:
"Qui sei straniera/sei prigioniera./Pur la regina sei del mio cuor".
Regina un accidente. Che cosa si è mai messo in testa il Ghislanzoni, crede di poter ignorare quello che dice Verdi? Se ne guardi bene. E lui, volente o nolente, accetta, stende i versi secondo la volontà del Maestro. In un'altra occasione, il Musicista gli scrive:
<<Di ritorno a casa ho trovato sul mio scrittoio la sua poesia. Se debbo dire francamente la mia opinione, mi pare che questa scena della consacrazione non sia riuscita dell'importanza che m'aspettavo. I personaggi non dicono sempre quello che devono dire, ed i preti non sono abbastanza preti. Parmi altresì che la "parola scenica" non vi sia, o se v'è, è sepolta sotto la rima o sotto il verso, e quindi non salta fuori netta ed evidente come dovrebbe. Io le scriverò domani quando l'avrò riletta con più quiete...>>.
Con Verdi, è chiaro, non si collabora. Con Verdi si fa quello che vuole lui e nient'altro. E' dispotico, tiranno, accentratore, pignolo, perfezionista, incontentabile, ostinato, brusco, impaziente. Ma ha sempre ragione. Possiede il senso del teatro come nessuno. Non spreca una parola, una battuta. Vuole stringatezza, sobrietà, rapidità, concisione. Come in questo caso:
<<Nel duetto vi sono ottime cose in principio ed in fine, quantunque sia troppo disteso e largo. Mi pare che il recitativo si poteva dire in minor numero di versi. Le strofe vanno bene sino "e a te in cor destò!". Ma quando in seguito l'azione si scalda, mi pare che manchi la "parola scenica">>.
Eccoci di nuovo di fronte a questa definizione. E che cosa intenda dire con queste parole, Verdi lo spiega subito a scanso di equivoci.
<<Non so s'io mi spiego dicendo "parola scenica"; ma io intendo dire la parola che scolpisce e rende netta ed evidente la situazione>>.
Dopo di che non ci sono più dubbi, né incertezze. E anche il buon Ghislanzoni, che non si ribella mai, o che lo fa in modo tenue, quasi non credendo neppure alle proprie proteste; anche il buon Ghislanzoni dicevo, gli va subito dietro: cambia, aggiusta, taglia, aggiunge, modifica, cuce, rifà, cancella e via e via in un lavoro puntiglioso, umile, tutto teso a eseguire alla lettera gli ordini che Verdi gli impartisce. Il Musicista dispone, lui realizza. Naturalmente, Verdi sa anche prevenire le possibili osservazioni, tanto è vero che in una lettera spiega:
<<So bene ch'ella mi dirà: E il verso, la rima, la strofa? Non so che dire; ma io quando l'azione lo domanda, abbandonerei subito ritmo, rima, strofa; farei dei versi sciolti per poter dire chiaro e netto tutto quello che l'azione esige. Pur troppo per il teatro è necessario qualche volta che poeti e compositori abbiano il talento di non fare né poesia né musica>>.
E' teso, attento, sensibile. Si rende conto che "Aida" può essere una tappa importantissima nella sua vita artistica. Ci lavora con una dedizione, una cura, una passione, una meticolosità che stupiscono persino in un professionista come lui. (...)
Continua nella serie di ordini al librettista:
<<Signor Ghislanzoni, il duetto tra Aida e Radames è bellissimo nella parte cantata, e manca, secondo me, di sviluppo e di evidenza nella parte scenica. Io avrei preferito nel principio un recitativo. Aida sarebbe stata più calma e dignitosa, ed avrebbe potuto far spiccare meglio alcune frasi buone per la scena; [...] So bene che vi è di mezzo la strofa e la rima; ma perché non attaccare il recitativo per poter dire quello che l'azione domandava?>>. E poi raccomanda di
<<non dire nessuna parola inutile>>, ammonisce che <<non è questo il momento di fermarsi a cantare, e bisogna correre subito alla sortita d'Amneris>>, che <<la monotonia bisogna evitarla cercando forme non comuni>>. (...)
A Sant'Agata è un dolcissimo, mite settembre. (...) Mentre passeggia e osserva i platani e le magnolie, le querce e i salici piangenti e gli olmi, ripete dentro di sé i versi del libretto, magari cambiandoli, aggiustandoli, cercando altre soluzioni, ma lasciando che il nucleo centrale del dramma, della storia agisca dentro di lui, si plasmi, assuma contorni sempre più precisi e netti. I cieli della bassa padana, ovviamente, non sono quelli azzurri che si stendono sopra il Nilo. Ma è a questi cieli, a queste bianche e dorate nubi settembrine che Verdi guarda, lasciando che i suoi occhi corrano liberi, quasi placati, in questa vastità. E' ben oltre l'età che si dice matura, fra non molto toccherà la boa dei sessant'anni. Ma raramente, come in questa fine estate del 1870, si è sentito così forte, così pieno di energie, così desideroso di mettersi un'altra volta alla prova. E che si tratti pure di un ultimo fuoco, come a volte teme. Non importa. Resta il fatto che ha una gran voglia di scrivere, di finire - pur con tutti i rigori - questa sua nuova opera. A questo proposito scrive un biglietto molto significativo al Ghislanzoni:
<<L'ultima frase della sua lettera mi mette i brividi addosso: "Posso dar principio al terzo atto?" E come? Non è ancora finito? Ed io l'aspettavo di ora in ora. Io ho finito il secondo atto... Intanto farò un po' di pulizia qua e là. Van bene i versi del finale, ma è impossibile far senza una strofa dei sacerdoti. Ramfis è un personaggio e deve dir proprio qualche cosa... Non abbia paura delle "antifone" o di "lamenti" etc. Quando la situazione lo domanda non bisogna aver scrupoli... Coraggio dunque... >>.
Il buon Ghislanzoni non si fa ripetere due volte l'esortazione, tanto è vero che dopo una settimana dal biglietto di Verdi, gli spedisce il terzo atto completo. il Maestro se ne compiace e gli rivolge parole d'elogio: <<Molto bene per questo terzo atto>>, gli scrive. Ma poi ecco le critiche del caso, la ricerca attenta, i suggerimenti che sono ordini e via di questo passo. Si tratta sempre di osservazioni giustissime, per esempio come questa:
<< ...dopo che Amonasro ha detto: "Sei la schiava dei Faraoni", Aida non può parlare che a frasi spezzate>>. E ancora:
<< ...quando Amonasro dice a Radames: "Il Re d'Etiopia", qui Radames deve tenere e occupare quasi solo la scena con parole strane, pazze, esaltatissime>>.
E non c'è proprio nulla da controbattere. Verdi in questi casi potrà anche riuscire poco simpatico, dispotico e tutto quello che si vuole. Ma alla fine ha sempre ragione lui. Lo guida un sicuro senso del teatro, una spontanea capacità di saper giudicare ciò che è "drammatico" e cio che non lo è, un innato senso dell'essenziale, della via più diretta per arrivare al cuore, al succo di un'atmosfera, di un conflitto di passioni, di un personaggio colto nella sua complessa verità umana. E, insieme a queste sue doti istintive, la capacità fulminea e geniale di cantare umanamente, ma in modo quasi paradigmatico, i sussulti, le ansie, i tremori, la gioia, il dolore, la vertiginosa bellezza del nostro cuore. E farlo palpito dopo palpito, anelito dopo anelito, respiro dopo respiro. Proprio come succede con Aida, ora che gli sta nascendo perfetta, di una misura totale e grande. Proprio come con Amneris, l'antagonista, ma nello stesso tempo l'altra faccia della medaglia della schiava etiope. L'altra parte di lei.
Che non abbia bisogno di schemi, di filtri intellettualistici, ma voglia solo la verità, lo spessore umano, Verdi lo dimostra (ancora prima che col risultato artistico) nelle continue raccomandazioni che fa al librettista:
<<Io per me abbandonerei forme di strofe, ritmo; ma penserei a far cantare e renderei la situazione tale qual è, foss'anche in versi di recitativo>>; <<Soltanto non bisogna dire nissuna parola inutile...>>; <<avanti con un dialogo sempre vivo e brevissimo...>>; <<Il metro a suo piacere, e spezzi pure il dialogo se crede possa dar maggior vita>>.
Questo, solo questo gli interessa e gli preme: la vita, il vero, il senso della verità delle cose e dei sentimenti. Senza indugiare, senza infiorare, senza ripetersi. Vuole il dramma così com'è la sua musica: di un'invenzione tematica e melodica incredibile, di una naturalezza senza pari, di una fantasia incapace di esaurirsi. (...)
Il lavoro procede spedito. Più o meno gli occorre un mese per finire un atto. A ottobre può comunicare al librettista di aver ultimato il terzo. Poi, naturalmente, riprende a pungolare il Ghislanzoni. Vuole sempre <<qualche cosa di più nuovo... Qualche cosa di assolutamente nuovo>>. (...) Ha ragione: "Aida" è un'opera di enorme importanza, un'opera nella quale tenta la sintesi di tutto il suo lavoro: la verità scenica, la malia e la forza del canto e l'importanza, nuova e accresciuta, della strumentazione. Dice in questo periodo:
<< ...non essere in musica esclusivamente "melodista". Nella musica vi è qualche cosa di più della melodia: vi è la musica!>>. E' questo che lui tenta di dimostrare, riuscendoci in maniera stupefacente, con "Aida". Non è impresa da poco conto, né si tratta di un lavoro che non comporti rischi e difficoltà. (...)
In novembre inizia il quarto atto, forse il più difficile dal punto di vista psicologico e teatrale. Però sa quale strada battere e come arrivare alla meta che si è prefissato. Eccolo dunque suggerire alla sua povera vittima, il rassegnato Ghislanzoni:
<<Così con un "cantabile" un po' strano di Radames, un altro a "mezz'aria" di Aida, la "nenia" dei Sacerdoti, la ""danza> delle sacerdotesse, l' "addio alla vita" degli amanti, l' "in pace" di Amneris, formerebbero un insieme variato, ben sviluppato; e s'io posso arrivar a musicar bene il tutto, avremo fatto una buona cosa, o almeno cosa che non sarà comune. Coraggio, dunque: siamo alle frutte; ella, almeno>>.
Be', alle frutte proprio proprio non ci sono ancora arrivati. Ma Verdi non si dimentica di anticipare la fine del martirio per il librettista. Il Maestro scrive musica quasi a getto continuo, naturalmente. Si lamenta, dice di stare poco bene, di avere mal di testa, di sentirsi stanco. Ma non è vero niente. E' sano e forte. Lavora e lavora, ore e ore al pianoforte, a graffiare la carta da musica con sgorbi neri.
Un altro autunno, i viali che circonda la villa sono pieni di foglie gialle che stanno marcendo lentamente (...) C'è umido in giro. E molto fango. Ma Verdi non pensa alla cattiva stagione. Lui compone. E basta. Scrive al librettista:
<<Stupenda l'invettiva di Amneris. Anche questo pezzo è fatto. Io non andrò a Genova che quando sia finita completamente l'opera. Mancano l'ultimo pezzo, da mettere in partitura, il quarto atto, e da istrumentare da capo a fondo l'opera. E' lavoro di un mese almeno. Abbia ella dunque pazienza, e disponga le sue cose in modo da poter venire a Sant'Agata senz'aver troppa fretta>>. E subito dopo:
<<Venga presto, anzi subito subito: aggiusteremo tutto. Non abbia paura dell'ultima scena, che non scotta. E' un pezzo freddo!>>.
"Aida" è terminata. E' lo stesso Verdi a darne annuncio a un amico (...)
(...) la Stolz non viene scritturata per il Cairo. Si riesce, invece, ad averla per l'esecuzione europea alla Scala. Verdi, però, non si preoccupa solo dei cantanti. Per l'esecuzione scaligera, per esempio, consiglia a Ricordi di rendere
<<l'orchestra invisibile>> e spiega: <<Questa idea non è mia, è di Wagner: è buonissima. Pare impossibile che al giorno d'oggi si tolleri di vedere, il nostro meschino "frak" e le cravattine bianche, miste per es. ad un costume Egizio, Assiro, Druidico, ecc. ecc. e di vedere inoltre la massa d'orchestra che "è parte del mondo fittizio" quasi nel mezzo della platea fra il mondo dei fischianti, o dei plaudenti. Aggiungete a tutto questo lo sconcio di vedere per aria le teste delle arpe, i manichi dei contrabbassi, ed il mulinello del Direttore d'orchestra>>.
Si preoccupa anche, assieme al librettista, di apportare gli ultimi ritocchi all'opera, gli ultimi lavori di lima. Si accorda con lui persino per la scenografia, per la resa teatrale dei vari momenti del dramma. Anche in questi ultimi particolari è scrupoloso e incontentabile. Sa che "Aida" è un'opera complessa e che esige, se non vuole rischiare che appaia molto pompieristica, una cura particolare nella messa in scena.
<<Dobbiamo curarci di tutto>>, dice il librettista <<e segnare persino il posto dove dovranno comparire le comparse e i cantanti>>. (...)
Finita "Aida", almeno come parte creativa, non sa come riempire il suo tempo. Il lavoro che sta facendo in questo momento, e che può essere paragonato a quello di un bravo artigiano, non gli basta. <<Gran brutto mestiere il nostro>>, confida, <<appena si finisce di scrivere una partitura ti verrebbe voglia di rivederla da capo a fondo>>. (...)
Una volta aveva detto:
<<Per scriver bene, occorre poter scrivere rapidamente, "quasi d'un fiato", riservandosi poi di accomodare, vestire, ripulire l'abbozzo generale; senza di che si corre il rischio di produrre un'opera a lunghi intervalli, con una musica a mosaico, priva di stile e di carattere>>.
Ebbene, anche "Aida" l'ha composta tutta d'un fiato, sotto una grande tensione psicologica, spinto da un'ispirazione che non ha mostrato attimi di cedimento e di stanchezza, che gli infondeva una forza e una vitalità straordinarie. Ora deve "accomodare, vestire". Forse il lavoro è meno facile di un tempo. o forse adesso mette una cura particolare in questa sua ultima partitura.
(da: Giuseppe Tarozzi - IL GRAN VECCHIO - Club Italiano dei Lettori, Milano 1980)
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