In che consiste l’interpretazione vocale e stilistica del “Rigoletto”? La parte del “Duca di Mantova”, nonostante la sua apparente spontaneità e disinvoltura, è tra le più spinose e pericolose. Esige appunto la difficilissima facilità della respirazione, dell’emissione, della dizione in una tessitura impervia, per rendere quel personaggio capriccioso e sfacciato, ma pure nobilissimo nel portamento e nel gesto. Il canto dovrà seguire una linea pura ed elegante; la voce, duttile e lucente, non potrà rinunciare a una consistenza virile, altrimenti cadrebbe nel mellifluo e nel querulo, che non si addice all’impeto dello scapigliato superuomo della Rinascenza. In definitiva, nel complesso personaggio verdiano pugnano elementi contraddittori che vanno superati in una meditata armonia di pensiero e di sentimento estetico. Fin dalle primissime recite, mi resi conto di cotali esigenze e, a poco a poco, pervenni a conciliarle, a fonderle in una interpretazione che parve appropriata. Così l’accettò il pubblico. E dal consenso trassi l’iniziale fortuna che agevolò l’ascesa alle alte remunerazioni.
(da: G.Lauri-Volpi - "Incontri e scontri", 1971)
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P.S. primi e gloriosi interpreti ottocenteschi del Duca di Mantova:
RAFFAELE MIRATE
Fu uno fra i più celebrati tenori della sua epoca. Di lui avremo detto tutto avvertendo che il suo metodo sapiente e la sua voce sicura, flessibile, soave e tuttavia potente, gli permettevano di cantare egualmente e senza il minimo sforzo "Cenerentola" quanto "Rigoletto". E' noto ch'egli fu il primo interprete di quest'opera a Venezia. Il Verdi per compiacere al desiderio di lui, non pago — ed a ragione — delle sue romanze all'atto secondo —, scrisse, all'ultimo momento, la popolare canzone "La donna è mobile", nella quale il Mirate destò fanatismo. — Il periodico teatrale di quel tempo, "Il Vulcano", così scriveva:
"Quando il Mirate si è presentato alla ribalta e ha cominciato a cantare con quella sua voce, dal timbro vivo e brillante, la canzone 'La donna è mobile', tutto il pubblico ha capito subito che quella era la misteriosa sorpresa che il Verdi ci aveva preparato. E la sorpresa è riuscita graditissima, tanto che si è voluto riudire la canzone tre volte, e se il Mirate lo avesse consentito le repliche avrebbero raggiunto la dozzina!..."
MARIO DE CANDIA
Alla presente generazione, abituata al grido passionale, agli scatti convulsi degli attuali cantanti, è difficile dire con precisione quale fosse e come si esplicasse sulla scena l'arte di Mario: arte che consisteva specialmente nel dare alla parola cantata la sua perfetta espressione senza punto alterare la limpidezza del disegno melodico. Fra le molte opere del Verdi da lui cantate, quella dove non ebbe rivali fu il "Rigoletto". [*] Ogni nuova interpretazione, del resto, segnò per lui un nuovo successo che gli valse proposte e contratti cospicui per tutti i principali teatri d'Europa e d'America. (...)
La carriera del Mario sulla scena fu lunga e gloriosa.
[* Così, per esempio, nel duetto del "Rigoletto", laddove il tenore canta:
"E' sol degli uomini la vita amore,
Sia voce un palpito del nostro cuore,
E' fama, gloria, potenza, e trono..."
il Mario traeva degli effetti vocali nuovi e singolari, colorendo la parola con una varietà ed efficacia di tinte di cui sarebbe impossibile tentare l'imitazione (...)]
(da: Gino Monaldi - "Saggio d'Iconografia Verdiana, con 182 illustrazioni" - Bergamo, Istituto Italiano d'Arti Grafiche, 1913)
Cantarono il ruolo del Duca, tra fine Ottocento-inizio Novecento e per tutto il secolo scorso tenori di calibro diverso:
Fernando De Lucia, Enrico Caruso, Giuseppe Taccani, Dino Borgioli, Giacomo Lauri-Volpi, Beniamino Gigli, Ferruccio Tagliavini, Renato Cioni, Gianni Raimondi, Carlo Bergonzi, Luciano Pavarotti, Franco Bonisolli, Vincenzo La Scola... per non parlare di Di Stefano e Del Monaco. Ma l'interpretazione offerta da Lauri-Volpi non è stata oggettivamente raggiunta da nessun altro. Eccone le ragioni!
IL SUPERBO DUCA DI MANTOVA DI LAURI-VOLPI :
Se Tito Schipa - "principe dello stile, maestro infallibile e sempre attuale di aristocratico gusto interpretativo" - foggiò un Duca di Mantova di irresistibile eleganza salottiera, perfettamente rispondente a una moderna concezione del 'tenore di grazia' (e al di là delle Alpi gli diede la replica uno squisito Richard Tauber); e se Beniamino Gigli, a sua volta, per circa tre lustri offrì al "Rigoletto" il prezioso contributo di una fluente e melodiosa cantabilità - non c'è dubbio però che, Caruso a parte (e per qualcuno anche Caruso compreso), se vogliamo individuare il Duca del secolo, costui non può essere che Giacomo Lauri-Volpi, "il solo artista, per voce, qualità, volume, estensione, carattere, temperamento", che seppe "darci un ritratto ideale di questo cinico eroe negativo".
Del resto, che Lauri-Volpi fosse un perfetto Duca di Mantova, se ne accorse l'arcigna critica milanese fin dal dicembre 1920 allorché il ventottenne tenore presentò al Teatro Dal Verme questo personaggio che, dopo il positivo esordio di Viterbo (sett. '19), nel volgere di poco più di un anno aveva vittoriosamente interpretato al Verdi di Firenze (dic. '19 e febbr. '20), al Municipal di Rio de Janeiro e al Coliseo di Buenos Aires (estate 1920), al Politeama Rossetti di Trieste (sett. '20) e al Politeama Genovese (ott. '20). "Un Duca di Mantova quale da un pezzo non ne avevamo sentito", scriveva infatti il Ciampelli all'indomani della trionfale 'prima' milanese; e aggiungeva: "Bisogna dir subito che ci troviamo dinanzi ad un tenore di mezzi eccezionali: la sua voce è limpida, fresca, flessibilissima, ed accanto al timbro robusto che può e sa assumere nelle note medie possiede un tesoro di mezze voci nelle quali sfuma deliziosamente il suo canto. Ed è anche intelligentissimo: ce ne dà la prova il senso d'arte col quale egli domina le sue emissioni vocali, il buon gusto col quale compone il personaggio" ("La Sera", 24 dicembre 1920).
Logico il desiderio dei raffronti, sempre ardui, con un passato allora relativamente prossimo: il Ciampelli scomodava addirittura Masini e Marconi, e nel ricordo di questi due grandi predecessori non esitava a profetizzare a Lauri-Volpi "un grande avvenire".
Impegnativa anche se in fondo facile profezia, che vide il suo avverarsi già nel gennaio 1922 allorchè, a soli sedici mesi dall'esordio, Lauri-Volpi giunse a calcare vittoriosamente le scene scaligere nella prima stagione del famoso settennio toscaniniano mettendo in luce, ancora una volta quale Duca di Mantova, la sua voce "bella, limpida, dolcissima", e confermandosi "tenore che ha mezzi eccezionali, e che una seria disciplina, quale si è imposta, renderanno sicuramente un artista perfetto" ("La Sera", 16 gennaio 1922).
E le proporzioni del successo scaligero (poi ripetuto nel 1934 e 1943) si sarebbero ancora ampliate nei decenni seguenti, che videro l'irresistibile Duca di Lauri-Volpi passare di trionfo in trionfo nei principali teatri del mondo, dal Metropolitan al Colón, dal Covent Garden all'Opéra, dal Real alla Städtische Oper di Berlino, dal Liceo all'Opéra di Montecarlo, dall'Opera di San Francisco al San Carlo, dall'Arena di Verona all'Opera di Roma, dove, nel maggio 1950, a trent'anni dall'esordio di Viterbo, cantò per l'ultima volta "Rigoletto", "suscitando [. . .] l'entusiasmo nel pubblico per la generosità del suo canto e per la precisa accentuazione conferita al personaggio".
Così Renzo Rossellini ne "Il Messaggero" del 20 maggio. - A Roma, del resto, il Duca di Mantova di Lauri-Volpi ottenne sempre calorosissime accoglienze fin da quando, nel marzo 1934, lo cantò per la prima volta al Teatro Reale dell'Opera. Scrisse per l'occasione un critico anglosassone, James Robertson: "Of the singers [gli altri principali erano Toti Dal Monte e Benvenuto Franci: G.G.], the first to be mentioned is Lauri-Volpi, assuredly one of the most fulgent of Italy's glorious line of divos - a true descendent of Mario, of Rubini, not since their time has there been a voice of such miraculous flexibility. The sheer beauty of his mezza-voce, the thrill of his high notes - the most perfect in living memory - secure for him a place at the head of present-day attractions. Nor is he only a virtuoso as one might call Gigli. He is a consummate artist. Allied to his excellent stage bearing, his lyric art presented to us a Duke of Mantua in whom we had no option but to believe utterly. What girl, we asked, could have resisted the positively unhearthly beauty of his tones as he murmured in her ear 'E' il sol dell'anima'? Here is a piece of singing that will linger in my mind as long as I live [. . .] Lauri-Volpi's "Questa o quella" was nothing to make a song about, but his singing in the second and last acts was a wonderful privilege to hear (cfr. "The Record Collector", vol XI, n. 11-12, nov./dic. 1957, p. 250).
A sua volta Mario Rinaldi così riferiva di un altro famoso "Rigoletto" romano del maggio 1946 (famoso anche per gli accesi contrasti sorti fra il loggione e il direttore d'orchestra americano, certo Lawrence, per il rifiuto di costui a concedere il 'bis' della "donna è mobile" una volta tanto accordato dall'estroso tenore): "Giacomo Lauri-Volpi ha dato magnifico rilievo al personaggio del Duca; nessuno, come lui, sa forse riprodurre la spavalderia di questo poco simpatico libertino, senza contare che con i suoi eccezionali mezzi vocali il Lauri-Volpi si è guadagnato subito il pieno favore degli ascoltatori [. . .] Voce generosa, facile all'acuto ed alla mezzavoce, quella di Lauri-Volpi. Con mezzi simili non si può non aver dalla propria parte il pubblico" (cfr. "Il Messaggero", 28 maggio 1946).
Un personaggio solo apparentemente facile ma in realtà assai impegnativo, la cui pesante eredità, al pari di quella, anche più onerosa, di Manrico, attende tuttora chi possa raccoglierla, farla interamente sua, e portarla innanzi.
Un compito, se non impossibile, certo assai arduo, al quale, per la verità, non pochi tenori si sono accinti negli ultimi trent'anni, arrivando a conseguire risultati vocalmente e artisticamente anche assai pregevoli, talvolta di indubbio rilievo, senza però che i loro Duchi possano reggere fino in fondo il confronto con quello, davvero "superbo", scolpito da Lauri-Volpi. La definizione è di Toti Dal Monte (cfr. "Una voce nel mondo", Milano, Longanesi, 1962, p. 255), che ovviamente se ne intendeva per essergli stata collega in molte edizioni di "Rigoletto".
(da: IL CAMMINO DELL'OPERA di Giorgio Gualerzi, in: VERDI - Bollettino dell'Istituto di Studi Verdiani, Parma - Vol. III - Numero 9 - 31.I.1982)
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