Ecco, secondo la testimonianza del Monaldi, alcuni nomi di famosi cantanti lirici che sono stati creatori di ruoli verdiani e/o importanti interpreti verdiani nell'Ottocento. Riflettete tutti sulle caratteristiche vocali che affiorano da queste descrizioni, vedremo poi in modo del tutto diverso un ruolo verdiano e l'affronteremo interpretativamente diversamente dallo stereotipo comune odierno. Buona lettura!
CARLO BOUCARDÉ
Fu il cantante che più e meglio d'ogni altro seppe penetrare nel cuore del popolo e più lungamente rimanervi, La sua arte era tutta d'istinto che improvvisamente gli suggeriva l'accento e la espressione della frase musicale, facendogli ottenere poderosi effetti. La sua voce non poteva dirsi bella e neppure estesa. Tuttavia egli sapeva modularla con dolcezza infinita sino a ridurla un lieve respiro. La sua mezza voce era un incanto! Egli fu un celebre interprete delle opere di Verdi, e più specialmente del "Trovatore" e dei "Lombardi".
GIORGIO RONCONI
Il nome di Ronconi era per l'arte e per gli artisti del suo tempo quello di un Santo Padre.
La sua voce era di una malleabilità straordinaria. Egli poteva ridurla a suo talento alle più sottili gradazioni del suono e distenderla, con un falsetto meraviglioso, fino a più alte note. Ed era di una tal forza, la sua voce, che al duetto dell' "Ernani": "La vedremo, veglio audace", faceva tremare i palchetti della Scala e metteva i brividi al colossale Marini.
Egli fu il primo interprete del "Nabucco" nel 1842 alla Scala insieme alla Strepponi.
ANTONIO POGGI
Fu Antonio Poggi uno degli ottimi tenori che occorrevano alle opere Verdiane. Il suo metodo di canto piano, sodo e castigato, senza esagerazioni di slanci e senza sforzi, come conveniva a quei pochi tenori educati alla buona scuola italiana, ne fecero un artista di gran merito e l'esecuzione della "Giovanna d'Arco" valse a lui, degno compagno della Frezzolini, meritati trionfi.
MARIANNA BARBIERI-NINI
La Barbieri-Nini fu tra le ultime regine della scena che, nonostante l'invadenza trionfatrice del repertorio Verdiano, potessero e sapessero serbare incolume ed intemerata la purezza dell'antico stile. Con quale devozione affettuosa e animo gentile esercitasse la propria arte, lo prova la felice interpretazione data alla difficilissima parte di Lady Macbeth.
RAFFAELE MIRATE
Fu uno fra i più celebrati tenori della sua epoca. Di lui avremo detto tutto avvertendo che il suo metodo sapiente e la sua voce sicura, flessibile, soave e tuttavia potente, gli permettevano di cantare egualmente e senza il minimo sforzo "Cenerentola" quanto "Rigoletto". E' noto ch'egli fu il primo interprete di quest'opera a Venezia. Il Verdi per compiacere al desiderio di lui, non pago — ed a ragione — delle sue romanze all'atto secondo —, scrisse, all'ultimo momento, la popolare canzone "La donna è mobile", nella quale il Mirate destò fanatismo. — Il periodico teatrale di quel tempo, "Il Vulcano", così scriveva:
"Quando il Mirate si è presentato alla ribalta e ha cominciato a cantare con quella sua voce, dal timbro vivo e brillante, la canzone 'La donna è mobile', tutto il pubblico ha capito subito che quella era la misteriosa sorpresa che il Verdi ci aveva preparato. E la sorpresa è riuscita graditissima, tanto che si è voluto riudire la canzone tre volte, e se il Mirate lo avesse consentito le repliche avrebbero raggiunto la dozzina!..."
MARCELLINA LOTTI DELLA SANTA
Le opere del Verdi cantate da Marcellina Lotti sono poche. In una sola, nel "Rigoletto", essa ha lasciato ricordi incancellabili. La sua voce di un metallo purissimo, possedeva una estensione di suono assolutamente straordinaria; nè minore era l'elasticità della sua gola che le permetteva di superare le più aspre difficoltà vocali senza il minimo sforzo. Nella cadenza, dopo l'aria del "Caro nome" nel "Rigoletto", essa emetteva un trillo, vero trillo di due note che, cominciato sulla scena, continuava sino a che non era rientrata nelle quinte, dopo aver salito la lunga scala del praticabile.
MARIO DE CANDIA
Alla presente generazione, abituata al grido passionale, agli scatti convulsi degli attuali cantanti, è difficile dire con precisione quale fosse e come si esplicasse sulla scena l'arte di Mario: arte che consisteva specialmente nel dare alla parola cantata la sua perfetta espressione senza punto alterare la limpidezza del disegno melodico. Fra le molte opere del Verdi da lui cantate, quella dove non ebbe rivali fu il "Rigoletto". [*] Ogni nuova interpretazione, del resto, segnò per lui un nuovo successo che gli valse proposte e contratti cospicui per tutti i principali teatri d'Europa e d'America. (...)
La carriera del Mario sulla scena fu lunga e gloriosa.
[* Così, per esempio, nel duetto del "Rigoletto", laddove il tenore canta:
"E' sol degli uomini la vita amore,
Sia voce un palpito del nostro cuore,
E' fama, gloria, potenza, e trono..."
il Mario traeva degli effetti vocali nuovi e singolari, colorendo la parola con una varietà ed efficacia di tinte di cui sarebbe impossibile tentare l'imitazione (...)]
NAPOLEONE MORIANI
Il Moriani appartiene allo stuolo eletto di cantanti che disputavansi l'ammirazione dei pubblici nel decennio dal 1830 al 1840. — Parlando con parecchi dei famosi "laudatores temporis acti", non sono mai riuscito a capire quali fra i più celebri tenori di quel periodo — Donzelli, Moriani, Guasco, Poggi, Salvi e Ivanoff — Duprez e Rubini esclusi — fosse veramente il migliore. I pareri erano, in massima parte, divisi tra il Moriani e il Donzelli. Del primo si decantava soprattutto la grazia, l'eleganza, la soavità del canto, la nobiltà e l'elevatezza del sentimento drammatico; dell'altro si magnificavano la forza e l'efficacia della voce e dell'accento, di modo che non era possibile decretare all'uno piuttosto che all'altro il lauro della vittoria. L'opinione del Verdi — giudice sommo — era questa: "Di tanti cantanti uomini che ho sentito, quello di cui serbo la memoria più cara è il Moriani".
TERESINA BRAMBILLA
Gemma uscita dalla stessa preziosa conchiglia che diede Marietta, Amalia, Erminia ed Annetta, esercitò un fascino straordinario sui suoi contemporanei. Gli ammiratori furono innumerevoli e intorno a lei si scrissero squarci apologetici simili a questo: "La giovane Teresina Brambilla possiede un'aurea voce, uno scelto ritmo di canto, un metodo puro e schietto, un'azione tutta imitatrice della natura da cui trasparisce con amabile evidenza la verità dei molteplici effetti..... Qual cosa più splendida di quei gorgheggi che adornano il suo canto come la luce colora gli oggetti! Quale delicatezza in quelle melodiose cadenze che vi lasciano nel cuore una impressione cara come un pensiero d'amore! Il suo aspetto stesso è testimonio di un'anima che sente: la mobilità del volto, l'occhio nero ed espressivo dardeggianti la passione preannunciano allo spettatore quello che l'armoniosa voce sta per recare all'orecchio".
Nel primo atto della "Traviata" essa non ebbe rivali.
ADELINA PATTI
Adelina Patti possedeva la voce più bella e perfetta che sia mai forse scaturita da laringe umana. Aveva una quadratura musicale istintiva uguale a quella di qualsiasi provetto musicista. (...) nella "Traviata" riusciva anche a commuovere; "Addio del passato", cantato dalla Patti, discendeva nell'anima come il pianto melodioso di una fata. Quelle sue note meravigliose, sembravano dolorose, ed erano carezze di mani vellutate. Verdi, non facile alla lode e che aveva avuto a sue interpreti le prime cantanti del mondo, in una lettera al conte Arrivabene, in data di Genova 27 dicembre 1877, così scriveva: "Qui nulla di nuovo, se non che vi furono tre recite della Patti con entusiasmo incredibile. Meritatamente, perchè è natura d'artista".
"Oh, oh! E la Malibran?"
"Grandissima, ma non sempre uguale. (...) Ma la Patti è più completa, voce meravigliosa, stile di canto purissimo."
TERESA DE GIULI BORSI
Fu una delle cantanti di cui, dopo la Frezzolini, il Verdi serbò più caro e grato ricordo. Dotata di una voce oltremodo estesa, chiara, agile e robusta, guidata da un sentimento gentile ed insinuante, dovunque cantò, seppe entusiasmare: a Roma nel 1850 colla "Luisa Miller", a Perugia nel 1854, insieme a Fraschini e al baritono Corti, col "Rigoletto". (...)
Con lei, che la morte rapì assai prima che il teatro avesse dato congedo all'artista, si spense il tipo perfetto del vero soprano lirico (...)
ACHILLE DE BASSINI
Achille De Bassini fu cantante oltre modo eletto per la nobiltà del portamento, per la bellezza della voce, l'efficacia dell'accento e la correttezza del fraseggiare. Il repertorio Verdiano gli fu familiare e ovunque lasciò modello ed esempio non facilmente superato. Nei "Foscari" non ebbe rivali.
Il De Bassini ebbe un temperamento vocale privilegiato, in grazia del quale egli potè conservare la pienezza della voce sino ai suoi tardi anni. Nel Carnevale 1864-65 egli cantava alla Scala e reggeva al paragone dei migliori artisti di quell'epoca.
ANGELO MASINI
Angelo Masini non ebbe repertorio troppo vasto; in tutte le opere però da lui eseguite, egli lasciò l'impronta della sua personalità. (...)
Nell' "Aida" egli fu cantante mirabile ed interprete squisitissimo; nessuno potè nè forse potrà mai dire e cantare al pari di lui la melodiosa elegia "Morir sì pura e bella", nella quale la voce del Masini aveva morbidezze ineffabili di suono, aveva accenti delicatissimi di melanconica tenerezza.
Una singolarità vocale di lui era la mezza-voce che sulle sue labbra assumeva un'espressione d'incomparabile dolcezza e della quale egli poteva servirsi a suo talento con bellissima compattezza ed eguaglianza di suono. Nella "Messa da Requiem" del Verdi, il Masini ha suscitato commozioni come nessun altro. L'"Offertorio", cantato da lui, col fascino di quella sua mezza voce incantevole, diveniva veramente una cosa da paradiso.
ANTONIETTA FRICCI-BARALDI
Questa celebre attrice-cantante, tedesca di nascita, divenne, italianizzando il proprio nome — Freich —, schiettamente italiana anche sul teatro, conquistandovi una personalità, oltremodo bella e spiccata.
La robustezza e pastosità della voce, il vigore dell'accento, la virtù del metodo e la sua grande potenza drammatica le diedero questo diritto. Dopo la Barbieri-Nini fu la migliore interprete della non facile parte di Lady Macbeth.
Nella parte di Eboli nel "Don Carlos" lasciò un ricordo non ancora dimenticato.
GIUSEPPE FANCELLI
Aveva il dono d'una delle più belle voci — la più bella forse, per l'argentea metallicità del suono — uditesi sul teatro negli ultimi trent'anni del secolo scorso. (...) A provare la meravigliosa facoltà vocale del Fancelli basta ricordare che a Lisbona il direttore d'orchestra, per fargli uno scherzo, fece accompagnare un tono più alto la romanza del "Don Carlos": "Io la vidi" ecc., senza che lui — il Fancelli — se n'accorgesse affatto.
TERESA STOLZ
Questa cantante occupa un posto molto importante nell'opera Verdiana. La sua prima interpretazione fu quella di "Giovanna d'Arco" alla Scala, parte nella quale, prima di lei, Erminia Frezzolini aveva lasciato un ricordo indimenticabile. Più tardi, nel 1882 Teresa Stolz, divenuta celebre, fu chiamata ad interpretare la parte di Aida pure alla Scala. Nell'aria del terzo atto e precisamente alla frase: "O patria mia, non ti vedrò mai più" i vecchi abbonati della Scala confessano di non ricordare nulla di simile. La salita della sua voce agli estremi gradi della scala e la sua conseguente discesa sino alle corde più gravi, era qualche cosa di stupefacente ad udirsi. La voce della Stolz aveva infatti, oltre il pregio di una vibrazione straordinaria di suoni, quella di una omogeneità di timbro veramente rara. Dopo l' "Aida", la Stolz cantò più volte nella "Messa da Requiem" del Verdi e anche in quella difficile scabrosa partitura si mostrò artista e cantante eccezionale, suscitando l'universale ammirazione.
MARIA WALDMANN
(...) come tutte le artiste superiori, imprimeva una grande tipicità alla parte da lei interpretata; e questa tipicità era così bella, vera e precisa che pareva non consentirne nessun'altra. (...) Senonchè la Waldmann nell' "Aida" rimarrà leggendaria: dalla sua prima sortita sulla scena sino a tutto l'atto quarto, la incarnazione musicale, vocale, scenica e drammatica che la Waldmann dava alla innamorata figlia dei Faraoni appariva superbamente bella e completa. I melodiosi e tanto eloquenti recitativi di Amneris erano da lei espressi e cantati con tale finezza impareggiabile di accento e con tale ricchezza di sfumature sottilissime di suono, e di proprietà di sillabazione, che il Verdi, udendoli, ebbe a dire: "Non credevo mai che quella tedesca lì sarebbe stata la mia interprete ideale!"
Nell scena del giudizio l'attrice e la cantante assurgevano insieme a così mirabile altezza che il pubblico era preso come da vertigine. Anche la Waldmann cantò insieme colla Stolz nella "Messa da Requiem" portandovi quella impronta artistica che le era speciale.
VICTOR MAUREL
(...) una voce di baritono vero, con tendenza allo scuro, ma da cui egli traeva fuori delle mezze tinte e anche dei chiari, mercè certe ingegnose modulazioni che davano al suo canto un'espressione inimitabile.
Il Maurel era già celebre quando si presentò alla Scala nel "Otello", protagonista Francesco Tamagno. Il nuovo lavoro del Verdi fu un trionfo al quale non poco contribuirono il Tamagno e il Maurel. Nella difficile interpretazione della parte di Jago, e in ispecial modo nel "Racconto del sogno" dell'atto secondo, il Maurel era persin giunto a superare le intenzioni artistiche e musicali sulle quali il Verdi aveva basato l'effetto scenico del suo personaggio. Egli era riuscito ad impersonare Jago con tale perfezione che gli altri interpreti, venuti dopo di lui, anche i migliori, non riuscirono a uguagliarne l'espressione tipica.
Tre sono le opere del Verdi che il Maurel portò per la prima volta sulla scena. Prima ancora che nell' "Otello" il Verdi lo volle interprete della seconda edizione di "Simon Boccanegra", ristaurato, e corredato di nuovi e magnifici pezzi, su testo poetico di Arrigo Boito. E a questo proposito il Verdi stesso ebbe motivo di scrivere del Maurel: "è un attore e un cantante come se ne vede ben di rado. Maurel è un Simon Boccanegra ch'io non vedrò più uguagliato."
Alla Scala il Verdi lo volle protagonista del Falstaff, personaggio che uscì bello, saldo, libero, sincero, completo in ogni sembianza dalla mente ordinatrice del Maurel, e che nessuno all'infuori di lui potè più produrre con pari genialità.
(da: Gino Monaldi - "Saggio d'Iconografia Verdiana, con 182 illustrazioni" - Bergamo, Istituto Italiano d'Arti Grafiche, 1913)
Nessun commento:
Posta un commento