martedì 21 luglio 2020

Le prove dell'Otello con Giuseppe Verdi (1887)


LE PROVE DELL' "OTELLO" (di Ugo Pesci)

Gli interpreti principali dell'Otello avevano ciascuno ricevuto la parte fino dal principio d'autunno e non era loro mancato tutto l'agio possibile d'impararla a dovere per il giorno in cui Verdi, giunto appena a Milano, andò alla Scala ad incominciare le prove al pianoforte. L'ottimo Cairati ammaestrava i cori già da due mesi.
Quel primo giorno, presenti il Boito, il Faccio, il maestro Coronaro e Giulio Ricordi, dopo i soliti complimenti soliti a scambiarsi fra chi non s'è veduto da qualche tempo, ― non molti perchè Verdi non è per natura loquace ― il maestro si avvicina al pianoforte e prega gli artisti a volere accennare il gran pezzo d'insieme della scna VII dell'atto III. La sola emozione di trovarsi davanti a Verdi li vince tutti: il maestro non è contento: le donne sono sgomente, gli uomini si guardano in faccia interrogandosi con lo sguardo. Ma, ad una seconda prova, il pezzo va bene e un sorriso di soddisfazione ricompare sulle labbra di tutti.
La direzione del teatro, oltre alla solita sala per le prove al cembalo, ne ha fatta preparare un'altra riservata a Verdi, con un buonissimo Erard. Il maestro va là con le prime parti; siede egli stesso al pianoforte per provare i pezzi a solo e i duetti; consiglia, incoraggia, dice ogni tanto una di quelle parole che valgono per un artista più di qualunque trionfo. A Verdi preme però che si cominci subito ad unire al canto l'azione, ed egli può esser maestro di attori come di cantanti. Raccomanda la massima naturalezza e con l'occhio intento studia ogni movimento, ogni gesto, per cogliere quello che gli sembra più naturale, più vero.
La signora Pantaleoni canta soavemente la romanza del salice interrompendola con le parole che Desdemona deve rivolgere a Emilia che l'aiuta a spogliarsi degli ornamenti. Canta la strofa

"Scendean gli augelli a vol dai rami cupi
Verso quel dolce canto...."

E poi ad Emilia: — "Riponi questo anello". — il maestro osserva che, per far parere meno brusca l'interruzione, essa dovrebbe mostrare di vedersi in dito l'anello facendo il gesto col quale ha con molta grazia indicato lo scendere degli augelli dai rami.... Con un tal maestro è possibile interpretare una parte senza squisita finezza?

Viene la volta del Tamagno. Otello deve cadere alla fine dell'ultima scena. Verdi desidera una caduta tragica, salvinesca. Il Tamagno cade più volte, ma il maestro non è completamente soddisfatto. Rimanda le prove della caduta ad un altro giorno, vedendo l'artista stanco; ed intanto, amantissimo come è de' bambini, va a carezzare e trastullare la piccola figlia del celebre tenore che è andata alla Scala a prendere il babbo. Il Tamagno è obbligato a rimanere a casa per qualche giorno indisposto. Giulio Ricordi è uomo di cui in questi giorni, alla Scala, tutti hanno bisogno. Lo chiamano: si mette al suo posto lo stesso Verdi in una scena con Desdemona della quale gli sembra troppo freddo, troppo compassato l'abbraccio. Invertendo per un momento le parti, il maestro fa vedere alla signora Pantaleoni quale debba essere un amplesso fervido, appassionato.
Molti non lo crederanno, ma è veramente così; alle 5 pomeridiane, quando i cantanti, il Faccio, il Coronaro, lo stesso Giulio Ricordi sono spossati dalla fatica, Verdi con i suoi 73 anni suonati sulle spalle, scende fresco come una rosa nel cortile che dà sulla via Filodrammatici, e risale nella carrozza, con la quale è venuto a mezzogiorno, per ritornare all'albergo Milano.

La prove d'insieme dell'Otello sono cominciate il 27 gennaio e si fanno nello stesso tempo le prove di scena. E' facile immaginarsi con quanto affettuoso rispetto l'eccellente orchestra della Scala ascolti le rare osservazioni di Verdi. Per le masse corali e la comparseria l'opera non presenta grandi difficoltà sceniche. Soltanto nel primo atto occorre che le varie fasi della tempesta siano accompagnate dai movimenti delle molte persone aggruppate in scena. Cori e comparse ricompariscono soltanto alla fine di quell'atto; per pochi momenti nel secondo, e poi nella grande scena finale del terzo. Oltre agli altri suoi pregi grandissimi, l'opera nuova di Verdi avrà quello di potere esser messa in scena anche in teatri non molto grandi, senza straordinario apparato scenico.... purchè siano buoni i cantanti.
Per quante preghiere gli siano state rivolte, Verdi è rimasto fermo ed irremovibile nel suo sistema di non ammettere alle prove, neppure alla prova generale, testimoni importuni dai quali sarebbe impossibile pretendere un assoluto silenzio su quanto hanno veduto e sentito. Egli desidera che il pubblico, riceva una impressione non anticipatamente guastata dalle chiacchiere di alcuni privilegiati. Ed ha non una, ma centomila ragioni.

Per un appassionato dell'arte lo spettacolo di una prova d'insieme diretta da Verdi ha qualche cosa di veramente solenne. Nella vasta platea buia e deserta l'occhio indovina appena le lunghe file delle sedie vuote. Molti palchi sono chiusi con le tendine di seta che aumentano l'aria di rispettoso mistero di tutto l'ambiente. I professori d'orchestra sono al loro posto qualche minuto prima dell'ora fissata; parlano fra loro sottovoce; parlano, è inutile dirlo, dell'opera e del maestro. Fra le quinte non si vede e non si sente nessuno: quello della Scala non pare più lo stesso palco scenico brulicante di bambine, di ragazze, di uomini, di "tramagnini", quale l'abbiamo visto altre volte durante le prove di un ballo grande. Coristi e comparse aspettano ne' loro stanzoni il momento di essere chiamati in scena. Gli artisti principali sono nei camerini da' quali esce ogni tanto un gorgheggio, o il suono di una frase più volte ripetuta come per studiarne l'effetto. I due più assidui fra i componenti della direzione teatrale stanno chiacchierando dietro la prima quinta, vicino al loro palchetto, dove saliranno per assistere silenziosi alla prova.
Alle otto e mezza arriva il maestro. Boito, Giulio Ricordi, Faccio, l'hanno preceduto e sono andati ad aspettarlo all'ingresso dalla parte di via de' Filodrammatici. Il maestro è vestito secondo il solito, con la pelliccia, ed il fazzoletto di seta intorno al collo. Quand'è sul palco sbottona la pelliccia ed allenta un po' il fazzoletto; qualche volta lo toglie. E' già al posto la bella scena dipinta dal Ferrario che serve per l'atto terzo e rappresenta la gran sala del castello nel quale Otello risiede. I lumi della ribalta fanno scintillare la volta a mosaici su fondo dorato. Il maestro siede: Faccio è già salito al suo posto ed ha battuto due colpetti sul leggio per richiamare l'attenzione dei professori d'orchestra. E' un'abitudine: ma i professori son già tutti intenti alla musica e pronti ad incominciare.
L'orchestra attacca al principio della scena V fra Jago, Cassio ed Otello nascosto nel vano del verone. E' una scena piena di musica efficacissima, ora piana, ora concitata, nella quale scoppiano lampi d'ira e serpeggia la malvagità dei sottintesi traditori di Jago; e termina col fragore di squilli di tromba o di un colpo di cannone che annunciano "l'approdo della trireme veneziana." La trireme non si vede: ma comparisce invece fra le quinte a sinistra il cappello a cilindro e la fisonomia del primo magistrato civico milanese. Il sindaco Negri, da uomo d'ingegno, ha capito tutta la serietà dell'avvenimento artistico che sta per compiersi nella città da lui amministrata, e segue con intelligente premura tutte le fasi di quest'ultimo periodo di preparazione. L'alta importanza del suo ufficio lo preserva dalla prescrizione severa che esclude qualunque estraneo dalle prove dell'opera: egli rappresenta il comune di Milano, che è proprietario del teatro e gli paga la dote. Ma fino a quando il pezzo non è finito e l'orchestra tace, neppure il sindaco si avvicina al maestro per salutarlo.
Siamo alle due grandi scene finali dell'atto. Entrano gli ambasciatori veneti, le dame, i gentiluomini, i soldati ed i trombettieri; poi Desdemona seguita da Emilia e dai paggi. Giulio Ricordi e Boito sorvegliano che tutti vadano al loro posto, senza confusione nè strepito. Anche le masse sembrano impegnate a far bene perchè il maestro sia contento alla prima e non abbia nulla da dire. I cori della Scala hanno tradizione secolare di abilità. La comparseria si può dire scelta, e non ha nulla che fare con quella raccogliticcia dei grandi balli. Alla antiprova generale i dignitari della Serenissima portavano già la loro toga senatoria con dignità di "zentilomeni...."
Il gran finale echeggia solennemente nel teatro vuoto e lo riempie d'onde sonore: la fronte pensierosa del maestro sembra spianarsi: le sue labbra si muovono ad un sorriso di soddisfazione che equivale ad un grande elogio per i cantanti e per l'orchestra, che, appena finito il pezzo, s'alza di scatto come un professore solo, prorompe in un grido d'acclamazione ed applaude battendo gli archetti.

(da: "Verdi e l'Otello" - numero unico pubblicato da 'L'illustrazione italiana', 1887)

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