mercoledì 22 luglio 2020

Verdi ed il "Caino" di Giovanni Duprè


Giuseppe Verdi ed il "Caino" di Giovanni Duprè:

In quel tempo venne a Firenze Giuseppe Verdi per mettere in scena il "Macbeth". Se non isbaglio, era la prima volta ch'ei veniva fra noi; la sua fama lo aveva preceduto; nemici, com'è naturale, ne aveva dimolti; io era partigiano dei suoi lavori allora conosciuti, il "Nabucco", i "Lombardi", l' "Ernani" e la "Giovanna D'Arco". I nemici suoi dicevano che come artista era volgarissimo e corruttore del bel canto italiano, e come uomo lo dicevano un orso addirittura, pieno d'alterigia e d'orgoglio, e che sdegnava di avvicinarsi a chicchessia. Volli convincermene subito; scrissi un biglietto in questi termini: «Giovanni Duprè pregherebbe il chiarissimo maestro G. Verdi di volersi degnare a tutto suo comodo di recarsi al suo Studio, ove sta ultimando in marmo il "Caino", e desidererebbe mostrarglielo prima di spedirlo.» ― Ma per vedere fino a che punto era orso, volli portar la lettera io stesso e presentarmi come un giovane di Studio del professore. M'accolse con molta urbanità, lesse la lettera, e poi con volto nè ridente nè serio mi disse:
― Dica al professore che lo ringrazio molto, e il più presto che mi sarà possibile andrò a trovarlo, giacchè io avevo in mente di conoscere personalmente un giovane scultore, che.... ec. ―
Risposi: ― Se ella, signor maestro, ha voglia di conoscere il più presto possibile quel giovane scultore, può soddisfarsi subito, giacchè sono io. ―
Sorrise piacevolmente, e stringendomi la mano disse: ― Oh! questa è proprio da artista. ―
Parlammo a lungo, e mi mostrò alcune lettere di presentazione ch'egli aveva pel Capponi, pel Giusti e pel Niccolini; quella pel Giusti era del Manzoni. Tutto il tempo ch'egli restò in Firenze ci vedemmo quasi ogni giorno; facemmo qualche gitarella nei dintorni, come a dire alla Fabbrica Ginori, a Fiesole e alla Torre del Gallo. Eravamo una brigatella di quattro o cinque: Andrea Maffei, il Manara che poi morì a Roma, Giulio Piatti, il Verdi ed io; la sera ei ci permetteva di andare or l'uno or l'altro alle prove del "Macbeth"; la mattina spessissimo egli e il Maffei venivano al mio Studio. Gustava assaissimo la pittura e la scultura, e ne parlava con acume non ordinario; preferiva singolarmente Michelangelo, e mi ricordo che alla Cappella del canonico Sacchi che è sotto Fiesole per la strada vecchia, ove si ammira una bella raccolta di opere d'arte, restò quasi un quarto d'ora in ginocchio per ammirare un "paliotto" dell'altare, che si dice lavoro di Michelangelo. Volevo fargli il ritratto, ma poi per cagioni indipendenti dalla sua e dalla mia volontà non potè effettuarsi questo disegno, e mi contentai di formare la sua mano, che poi scolpii e regalai alla Società Filarmonica Senese, alla quale appartengo fino dal quarantatrè, nel quale tempo mi recai a Siena, come ho narrato più addietro. La mano del Verdi è nell'atteggiamento di scrivere; nel levare la forma la penna restò ivi incastrata, ed ora serve di bastoncino ad un mio bozzetto di "Sant'Antonino".
Del mio "Caino" parve contento; quella fierezza quasi selvaggia gli andava a sangue, e mi ricordo che il Maffei si studiava persuaderlo che dalla tragedia "Il Caino" del Byron, che appunto in quel tempo ei traduceva, potea levarsi un dramma di molto effetto per le situazioni e i contrapposti, nei quali il genio e l'indole del Verdi amano spaziare. Il carattere mite e pio di Abele di contro a quello di Caino ferocemente preso d'ira e d'invidia per l'offerta d'Abele gradita al cielo; nel contrasto tra loro; Abele che carezza il fratello e parlagli di Dio, e Caino che rigetta sdegnoso le dolci parole rivolgendo fin contro Dio blasfemi; coro d'Angeli invisibili in aria, coro di Demoni sotto terra; Caino che accecato dall'ira uccide il fratello, poi la madre accorsa alle grida d'Abele che lo trova morto, poi il padre, poi la giovane sposa d'Abele, il dolore di tutti per la morte di quel giusto, l'orrore per l'uccisore, il rimorso cupo, profondo di Caino, e infine la sua maledizione; formavano un tutto veramente degno del genio drammatico e biblico di Giuseppe Verdi. Mi ricordo che in quel tempo ei n'era invaghito, poi non ne fece più altro, e avrà avuto le sue buone ragioni. Forse le nudità erano uno scoglio, ma colle pelli di belve si fanno tuniche e manti sommamente pittorici; e ad ogni modo potea musicare il soggetto, quando questo veramente gli offriva situazioni, effetto e attrattiva, perchè il Verdi ha mostrato nelle molte sue opere possedere quel genio sublimemente fiero, adatto a quel tremendissimo dramma; egli, che seppe trovare entro di sè le grandi e serie melodie del "Nabucco", i mestissimi canti del "Trovatore" e della "Traviata", e il color locale, il carattere e le armonie sublimi dell' "Aida", egli poteva musicare il "Caino". Se un giorno il Verdi leggerà queste carte, chi sa? (...)
Mi ricordo (...) che un giorno il Rossini parlando meco in tutta confidenza dell'arte in generale, sul quale argomento e sulle ragioni tutte di essa era giudice sicuro, venendo pian piano a parlare della musica e dell'indole particolare dei maestri da lui conosciuti, riguardo al Verdi uscì in queste parole : ― Vedi, il Verdi è un maestro che ha un carattere melanconicamente serio; ha colorito fosco e mesto e che scaturisce abbondante e spontaneo dall'indole sua ed è apprezzabilissimo appunto per questo, ed io lo stimo assaissimo; ma è altresì indubitato ch'ei non farà mai un'opera semiseria come la "Linda", e molto meno una buffa come "L'elisir d'amore". ―
Ed io aggiunsi: ― Nè come il "Barbiere". ―
Rispose: ― Me lasciami stare, non c'entro per nulla. ―
Queste parole mi disse ventidue anni or sono nello Studio mio di Candeli, e l'opera buffa o semiseria il Verdi non l'ha ancor fatta e credo non ci abbia neppur pensato; ed ha fatto bene. Dunque l'arte musicale e l'Italia attendono da lui il "Caino", e l'attendono, perchè egli stesso sentì la volontà e la forza di volerlo fare.

(dal cap. IX. di "Pensieri sull'arte e ricordi autobiografici" di Giovanni Duprè, 1879)

[Nell'immagine: a sinistra: Copertina del libro di Giovanni Duprè - "Ricordi autobiografici" - Firenze, 1879; a destra: il "Caino" (1846) di Duprè - Galleria Palatina (Palazzo Pitti), Firenze]

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