lunedì 8 febbraio 2021

Note tronche cantate "senza voce", "espressione moltissima ma nissuna violenza d'accento", "delicatezza" nei p/pp dell'orchestra


Dedicato - ancora una volta - a chi "urla", invece di cantare liricamente bene, e a chi "copre i cantanti":

Che cosa rappresenti per Verdi quest'opera [il "Don Carlos"] e che cosa volesse ottenere da certi effetti, si capisce dalle lettere, fino a oggi inedite in una sua biografia, che indirizza al direttore d'orchestra Mazzucato quando questi sta per mettere in scena il "Don Carlos".
Ad esempio:
<<...quando i clarinetti riprendono subito dopo il motivo del Duetto, vorrei un suono pianissimo, velato, direi quasi "interno", quieto, liscio senz'accento. Egli capisce cosa intendo esprimere>>.
Insomma, Verdi vuole in questo punto come un'atmosfera senza vita e aggiunge che desidererebbe che le note tronche dei cantanti fossero
<<senza voce>>.
Ma non gli basta, eccolo subito aggiungere un'altra precisazione:
<<...la "veloce celeste", che viene poco dopo, sia ben in alto e ben lontana, onde il pubblico comprenda subito bene, che non si tratta di cose di questo mondo. Ben inteso, che tutti quelli che sono in scena, come se non sentissero la "voce", baderanno soltanto all' "auto da fè">>.
Pochi giorni dopo eccolo ritornare sull'argomento, con una nuova lettera. Verdi sa bene che "Don Carlos" è un'opera che esige un gioco sapiente, un'interpretazione attenta a tutte le sfumature. E' l'opera dei dettagli che, uniti assieme, fanno un quadro composito, sfumato.
<<Per esempio>>, spiega il Maestro, <<s'io le dicessi che il Coro di Donne in 'si mag.': atto II dev'essere suonato leggero, sfumatissimo, Ella mi potrebbe rispondere: "Sig. maestro, voi l'avete istromentato troppo". D'accordo, ma il gioco strumentale non è difficile ed una volta che l'esecutore lo abbia letto può dare al pezzo tutto il colorito che esige. Occorre che il professore d'orchestra non abbia "paura della nota" ed abbia fatto prove bastanti, per sapere quasi a memoria le note, onde applicarsi completamente nell'espressione e nel colorito>>.
La lettera contiene altre interessantissime notazioni, che sono di una modernità stupefacente.
<<Quel che ho detto del Coro, si può dire del "Dialogo a Tre", che vien dopo la Canzone del velo>>.
A questo punto Verdi desidera che i violini abbiano
<<il coraggio "de s'effacer" qualche poco, di conseguenza tutti gli altri violini li asseconderanno con un pianissimo>>.
Ecco dunque: suonare piano, cercare gli effetti, voci che non sono voci, suoni quasi lontani, soffocati, frasi tronche. Tutto sta a significare che la vivezza verdiana è qui controllata, fatta anche di sfumature, di riferimenti psicologici, di incertezze, di momenti sospesi.
<<Quando il Clarino riprende il Valzer la seconda volta, che tutti gli archi suonino "ppp"... e producano un lontano mormorio. Anche qui si potrebbe dire che gli strumenti sono troppi: no, fossero anche mille gli istromenti a corda, non copriranno mai il Clarino se si adoprerà bene l'arco>>.
E ancora:
<<Espressione moltissima ma nello stesso tempo molta calma e nissuna violenza d'accento>>.
E insiste sino a sfiorare la noia, ma come se non si fosse raccomandato abbastanza, come se fosse la prima volta che lo dice, di provare, di continuare a provare. Vuole
<<le cose delicate... che i "p." sieno veramente piani, e che i tempi sieno animati senza essere convulsi e violenti, salvo nei casi ove l'azione l'esige. La mancanza di delicatezza e la violenza, sono i peccati capitali delle nostre orchestre, perché i nostri poveri professori hanno sempre il braccio stanco, e non si prova abbastanza per eseguire bene le cose delicate e a poche note>>.

(tratto da: Giuseppe Tarozzi - IL GRAN VECCHIO - Club Italiano dei Lettori, Milano 1980)

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