La richiesta verdiana del rendere l'interpretazione PIU' "DISCORSO" CHE "CANTATO" nel Macbeth, secondo la testimonianza della prima interprete Marianna Barbieri-Nini :
Racconta dunque la Barbieri-Nini che una singolarità del Verdi durante le prove era di non dir quasi mai una parola. Questo non significava già che il maestro fosse contento: tutt'altro. Ma finito un pezzo, egli faceva cenno al Romani (il vecchio Pietro Romani, il più grande concertatore di Opere del nostro secolo ...); e al cenno del Verdi il Romani gli si accostava, andavano in fondo al palcoscenico, e col quaderno sotto gli occhi l'autore accennava col dito i punti in cui l'esecuzione non era quella voluta da lui. (...) Si aiutava con gesti, con grandi percosse sul libro, rallentando con la mano o rafforzando i tempi, e poi, come se avesse avuto luogo fra i due una lunga e persuasiva spiegazione, il Verdi tornava addietro dicendo: "Ora hai capito: così."
E il povero Romani doveva mettere a tortura l'ingegno acutissimo per capire, anche quando non aveva capito nulla, e per fare da interprete con l'orchestra e con i cantanti.
Le prove del "Macbeth", tra pianoforte ed orchestra, furono più di cento (...) Non era troppo amato dalle "masse", perchè non uscì mai dalle sue labbra una parola d'incoraggiamento, mai un "bravo" di convinzione, neppure quando e professori d'orchestra e coristi credevano d'aver fatto il possibile per contentarlo (...) Ma i direttori dello spettacolo, Pietro Romani concertatore e Alamanno Biagi direttore d'orchestra, e gli artisti che avevano un nome giustamente celebre come la Barbieri-Nini e il Varesi, subivano a poco a poco il fascino di quella volontà ferrea, di quella indomita fantasia non mai contenta di sè, e che tornava ogni giorno a suggerire qualche nuova interpretazione, magari cozzante con quella del giorno avanti, ma più perfetta, più artisticamente efficace. (...)
E qui volentieri lascio parlare la Barbieri-Nini (...) [Testimonianza della prima interprete di Lady Macbeth, Marianna Barbieri Nini, su Verdi al tempo delle prove del Macbeth a Firenze nel febbraio-marzo del 1847] :
« Di tutto lo spartito il maestro ebbe grande cura durante la prova, e mi ricordo che, mattina e sera, nel "foyer" del teatro o sul palcoscenico (secondo che le prove erano a pianoforte o in orchestra) guardavamo con trepidazione il maestro appena compariva, cercando d'indovinare dai suoi occhi, o dal modo suo di salutare gli artisti, se ci fosse per quel giorno qualche novità. (...)
Mi ricordo che erano due, per il Verdi, i punti culminanti dell'Opera: la scena del sonnambulismo, e il duetto mio col baritono. Durerete fatica a crederlo, ma la scena del sonnambulismo mi portò via tre mesi di studio: io per tre mesi, mattina e sera, cercai di imitare quelli che parlano dormendo, che articolano parole (come mi diceva il Verdi) senza quasi muover le labbra, e lasciando immobili le altre parti del viso, compresi gli occhi. Fu una cosa da ammattire.
E il duetto col baritono che incomincia: "Fatal mia donna, un murmure", vi parrà un'esagerazione, ma fu provato più di centocinquanta volte: per ottenere, diceva il maestro, che fosse più "discorso" che "cantato". »
(in: Eugenio Checchi - "Giuseppe Verdi: Il genio e le opere" - Firenze, G. Barbèra, 1887)
Racconta dunque la Barbieri-Nini che una singolarità del Verdi durante le prove era di non dir quasi mai una parola. Questo non significava già che il maestro fosse contento: tutt'altro. Ma finito un pezzo, egli faceva cenno al Romani (il vecchio Pietro Romani, il più grande concertatore di Opere del nostro secolo ...); e al cenno del Verdi il Romani gli si accostava, andavano in fondo al palcoscenico, e col quaderno sotto gli occhi l'autore accennava col dito i punti in cui l'esecuzione non era quella voluta da lui. (...) Si aiutava con gesti, con grandi percosse sul libro, rallentando con la mano o rafforzando i tempi, e poi, come se avesse avuto luogo fra i due una lunga e persuasiva spiegazione, il Verdi tornava addietro dicendo: "Ora hai capito: così."
E il povero Romani doveva mettere a tortura l'ingegno acutissimo per capire, anche quando non aveva capito nulla, e per fare da interprete con l'orchestra e con i cantanti.
Le prove del "Macbeth", tra pianoforte ed orchestra, furono più di cento (...) Non era troppo amato dalle "masse", perchè non uscì mai dalle sue labbra una parola d'incoraggiamento, mai un "bravo" di convinzione, neppure quando e professori d'orchestra e coristi credevano d'aver fatto il possibile per contentarlo (...) Ma i direttori dello spettacolo, Pietro Romani concertatore e Alamanno Biagi direttore d'orchestra, e gli artisti che avevano un nome giustamente celebre come la Barbieri-Nini e il Varesi, subivano a poco a poco il fascino di quella volontà ferrea, di quella indomita fantasia non mai contenta di sè, e che tornava ogni giorno a suggerire qualche nuova interpretazione, magari cozzante con quella del giorno avanti, ma più perfetta, più artisticamente efficace. (...)
E qui volentieri lascio parlare la Barbieri-Nini (...) [Testimonianza della prima interprete di Lady Macbeth, Marianna Barbieri Nini, su Verdi al tempo delle prove del Macbeth a Firenze nel febbraio-marzo del 1847] :
« Di tutto lo spartito il maestro ebbe grande cura durante la prova, e mi ricordo che, mattina e sera, nel "foyer" del teatro o sul palcoscenico (secondo che le prove erano a pianoforte o in orchestra) guardavamo con trepidazione il maestro appena compariva, cercando d'indovinare dai suoi occhi, o dal modo suo di salutare gli artisti, se ci fosse per quel giorno qualche novità. (...)
Mi ricordo che erano due, per il Verdi, i punti culminanti dell'Opera: la scena del sonnambulismo, e il duetto mio col baritono. Durerete fatica a crederlo, ma la scena del sonnambulismo mi portò via tre mesi di studio: io per tre mesi, mattina e sera, cercai di imitare quelli che parlano dormendo, che articolano parole (come mi diceva il Verdi) senza quasi muover le labbra, e lasciando immobili le altre parti del viso, compresi gli occhi. Fu una cosa da ammattire.
E il duetto col baritono che incomincia: "Fatal mia donna, un murmure", vi parrà un'esagerazione, ma fu provato più di centocinquanta volte: per ottenere, diceva il maestro, che fosse più "discorso" che "cantato". »
(in: Eugenio Checchi - "Giuseppe Verdi: Il genio e le opere" - Firenze, G. Barbèra, 1887)
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