lunedì 30 ottobre 2023

L'AIDA nell'Arena di Verona per il Centenario di Giuseppe Verdi (1813-1913), grazie ai veronesi Zenatello e Fagiuoli - 10 agosto 1913

L'AIDA nell'Arena di Verona per il Centenario di Giuseppe Verdi (Impressione dal vero del nostro inviato speciale L. Bompard). - 25mila persone gremirono la Grande Arena di Verona la sera del 10 agosto 1913 per la rappresentazione dell'AIDA, eseguita da artisti di cartello e diretta dal M° Tullio Serafin.

- L' "AIDA" DI VERDI NELL'ARENA DI VERONA. -


«Veronesi tuti mati!» così ripete per i cittadini di Verona, nati sotto l'aure del Monte Baldo, l'epigramma che la tradizione ha consacrato e nel quale ce n'è per tutti i veneti, di Venezia come di Padova, di Rovigo come di Vicenza e d'altrove.
E «tuti mati» nel senso geniale e simpatico della frase, erano tutti i bravi veronesi d'ambo i sessi la scorsa settimana — sospese le discussioni sulla estetica conservazione di Piazza Erbe — e non d'altro preoccupati che di sapere se il diluviante e tempestante Giove Pluvio — il Pulvio Zocchi delle nuvole — avrebbe permessa domenica sera la prima rappresentazione dell' "Aida" nell'Arena, nella grandiosa imponente, superstite Arena, che tante cose vide nei secoli!...
Giove Pluvio minacciò fino all'ultimo: sabato sera rovesciò acqua a catinelle, impedendo la prova generale; ma prima che arrivasse la mezzanotte, il cielo si fece bellamente sereno: Giove Pluvio aveva esaurito a quell'ora tutto il suo collettivismo diluviale.
E domenica sera, quando tutti gli accessi all'Arena dalla parte dell'Ala e dalla parte del Listone, dalla Gran Guardia Vecchia e dal palazzo del Municipio brulicavano di una immensa folla, romorosa, ansiosa, variopinta, indefinibile, che Verona non aveva mai più veduta da mezzo secolo — domenica sera il cielo stendeva al di sopra della caratteristica immensa piazza Brà, fatta di tre o quattro piazze che si susseguono a semicerchio, e al di sopra dell'immensa Arena una volta di cobalto superbamente orientale ingemmata di fulgide stelle, e di una luna timidetta, che al disopra dei palazzi fronteggianti il Listone pareva affacciarsi anch'essa, curiosa di uno spettacolo che farà epoca negli annali dell'Arena vetusta.


Sorta nell'epoca dei primi Antonini — pare — un settanta anni dopo Cristo; scrollata da frequenti terremoti, specialmente tra il 243 ed il 1184 — anno nel quale rovinò la cerchia esterna — di cui non restano che le tre alte arcate verso San Nicolò, dette l'Ala — l'Arena di Verona subì tutte le vicende delle varie civiltà che le succedettero intorno; ma domenica sera vide culminare una rinascita, che è stata possibile, prima, grazie alle cure costanti, che in quest'ultimi cinquant'anni cospicui cittadini, come il conte Pompei, ed il Municipio hanno saputo avere per il grandioso monumento; poi per la originalissima genialità del tenore Zenatello, che è stato il creatore vero, spirituale e tenace di questa resurrezione artistica, urtante contro molte convenienze tradizionali, affrontante molte difficoltà, ma degna di una commemorazione verdiana che ha voluto essere "hors ligne", e degna di una città che nella pompa dei suoi monumenti romani, scaligeri, gotici, longobardi, cinquecenteschi è una delle più belle e più care di questa nostra bellissima Italia.
C'era da pensarci su a risolvere il problema complicato. Dove e come piantare il palcoscenico; come sottrarsi a tutte le comode finzioni che in un teatro
chiuso, a palcoscenico trasformabile fuori della vista del pubblico, sono ad ogni momento possibili?...
Il problema lo ha risolto il bravo architetto Ettore Fagiuoli, di cui l'ILLUSTRAZIONE riproduce in questo numero due disegni originali, riproducenti la scena del I.° atto e quella del IV.° Essi danno una chiara idea dell'adattamento scenico da lui studiato. La scena è in parte fissa e in parte mobile. La parte fissa è — oltre al piano del palcoscenico — le due sfingi e i due obelischi che stanno ai lati del boccascena, e il grande portale in fondo.
Le colonne e gl'idoli, i pilastri, le piante sono mobili ed il pubblico assiste al loro spostamento o collocamento tra un atto e l'altro. Il Fagiuoli ha superate così le maggiori difficoltà, ed ha anche saputo calcolare gli effetti della luce artificiale sapientemente distribuita con riflettori e con l'immancabile ribalta.
Quasi un mese è durato il lavoro di adattamento di questo eccezionale palcoscenico, addossato al pulvinare, ed alzato fino al livello delle prime gradinate. Un segmento dell'ampio circo si è dovuto utilizzare, togliendolo al pubblico. Trenta metri di sfondo e quarantacinque di larghezza sono stati dati a questo palcoscenico singolare. Ma l'Arena di Verona, dalla forma elittica, occupa nell'emiciclo una superficie di circa 3300 metri quadrati: la sottrazione di circa 1400 non disturba gran che; poi restano le quarantadue gradinate, utilizzabili fino all'ultimo centimetro quadrato, ed elevantisi a circa venti metri tutt'in giro!... I grandi circhi di Roma e di Capua superano per ampiezza quello di Verona; ma l'Arena Veronese è superiore all'Arena di Pozzuoli.
Si è sempre calcolato che nell'Arena di Verona potessero trovar posto, sedute, un ventimila persone — esclusa la piazza elittica centrale. Per l' "Aida", salvo, come ho detto, la parte non eccessiva, della piazza, usufruita per l'erezione del palcoscenico, ne sono stati utilizzati i rimanenti 2000 metri quadrati circa per farne una platea invasa da file di poltrone, di posti distinti e numerati; onde è legittimo il computo che domenica sera l'Arena raccogliesse nel cospetto della «celeste Aida» venticinquemila spettatori per lo meno!...
In quel recinto superbo, che vide i giuochi dei gladiatori, le caccie alle bestie feroci, i martirii dei primi cristiani e più tardi, in tempi di fede cieca, molto cieca, i supplizi degli eretici, i "giudizi di Dio" pei singolari certami, ed i tornei, fino, da ultimo, la grandiosa festa popolare del 1897 in onore di re Umberto che ne fu impressionatissimo, — in quel recinto superbo è stata una vera audacia piantare un palcoscenico senza uguali e trasportare «le foreste imbalsamate» nascondenti le rive del Nilo, lasciate all'immaginazione del pubblico.... E l'audacia, come quasi sempre avviene, ha trionfato!...
Si è affermato che la messa in scena di questo spettacolo incomparabile abbia costato 150 mila lire: l'incasso della prima sera ne ha date 40 mila. Ne auguro altrettante per ciascuna delle sere susseguenti. L'audacia vittoriosa merita premio; lo meritano la bontà dell'insieme artistico, l'entusiasmo cortese e il sacro fervore collettivo di cui Tullio Serafin, Zenatello, la Mazzoleni, la Gay-Zenatello, il Mansueto, i settecento anonimi formanti la massa corale e danzante, l'orchestra — in gran parte della Scala — tutti insomma diedero splendida prova perchè lo spettacolo riuscisse degno del gran nome di Verdi e — oltre la classica cerchia dell'Arena — degno dell'Italia.

La critica è padrona, padronissima di trovare che questo si poteva ideare così e quest'altro così e così; ma il pubblico, che sente, che ama, che ha pronto per le cose nuove, belle, originali il suo sempre vergine e rinnovantesi entusiasmo; il pubblico — accorso da tutto il Veneto, da Milano — d'onde erasi mosso anche il conte di Torino — da ogni parte d'Italia; il pubblico ingenuo accendente negl'intervalli i cerini sulle alte gradinate, simulando i "moccoletti", e gustante, negl'intermezzi, un cenino improvvisato all'aperto; gli spettatori consapevoli e "blasés" delle poltrone e dei posti riservati; i poco audenti della vasta platea, ed i felicemente collocati delle alte scalee, tutti hanno provato momenti di quel vero entusiasmo che non discute. Non c'era da giudicare l' "Aida", che ha quarantadue anni di gloria, attraverso i mari ed i continenti. C'era da godere l' "Aida" in un ambiente incomparabile, nuovo, mai pensato dianzi, organizzato e suscitato con rapidità — relativa — che non lasciava campo ad alternative di troppi studi e di troppi progetti; e gli applausi del pubblico, le chiamate agli artisti ed al maestro; le acclamazioni allo spettacolo preso e sentito in tutto il suo novissimo insieme; l'urlo che rispose al «viva Verdi» mandato fra l'ovazione finale da Zenatello — il "deux ex machina" di questa creazione — dissero, al di sopra di ogni critica possibile, che la Commemorazione Verdiana ideata a Verona rimarrà, quale a tutti apparve, incomparabile, e formerà nel ciclo delle italiche feste verdiane di quest'anno centenniale, un numero che non si uguaglia, e non si discute — si corre a vedere, perchè non si vedrà più facilmente altrove, e si applaude!...
Vril.

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L'AIDA nell'Arena di Verona.
—I bozzetti per le scene ideati dall'architetto Fagiuoli—

Scena dell'atto IV. - Scena dell'atto I.

(su: L'ILLUSTRAZIONE ITALIANA, 17 agosto 1913) 

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ESTER MAZZOLENI, prima 'Aida' all'Arena di Verona, assieme a Zenatello e alla Gay nel 1913:
"Stavo guardando appunto la bella Verona, ricordando il telegramma che avevo ricevuto invitante a partecipare a questo spettacolo (...) e rimasi perplessa, perché mi spaventai per quanto l'invito parlasse di molte masse, di molta 'messa in scena', di cavalli, eccetera... mi spaventai per la voce e mi consultai con mio padre il quale mi incoraggiò perché disse: 'Se non sentiranno te, non sentiranno neanche gli altri'. Invece è successo che appunto i piani di 'O cieli azzurri', è vero, e tutti i filati risultarono molto meglio che la voce forte."!!!



«L'arte — soleva dire Zenatello — "la vera arte", presentata in una qualsiasi delle sue molteplici forme, può accomunare veramente tutti gli animi umani»!!!

Zenatello è sicuramente l'unico tenore del mondo che nella pur lunga e logorante carriera non chiese mai d'essere sostituito. Assai sovente sapeva imporsi quella vita sana e regolata che è necessaria ai cantanti in genere e in particolar modo ai tenori. Mai nessun stravizio. Non beveva, non fumava. Era regolarissimo sotto ogni aspetto. Gli sarebbe piaciuto viaggiare soltanto per il proprio piacere, visitare nuovi luoghi, poiché il suo carattere di romantico sognatore lo attirava verso tutte le cose che fossero lontane e sconosciute. Viaggiò, sì, e molto, ma per recarsi quasi sempre soltanto dove i suoi impegni teatrali lo costringevano. (...)
Arriviamo, così, all'estate del 1913. In quell'anno Zenatello volle rinunciare alla solita stagione del Colon di Buenos Ayres, perché già da qualche tempo aveva in mente un progetto, che ora voleva realizzare al più presto. Tanto più che nel 1913 si compiva il centenario della nascita di Giuseppe Verdi. Voleva che i veronesi tutti fossero in grado di partecipare a una commemorazione del maestro che gli era tanto caro. Voleva inoltre — e questa era l'idea che da molto tempo aveva in testa — fondare nella sua città un grande teatro, un teatro popolare, in modo che grandi folle potessero assistere agli spettacoli che vi si fossero dati; spettacoli che, pur dovendo essere naturalmente di altissimo livello artistico, potessero anche essere alla portata economica di ogni cittadino.
Tornò in Italia, e sostò nella sua Verona.  
Un caldo giorno del giugno 1913, nella splendida Piazza Bra di Verona, Zenatello, Maria Gay, i maestri Serafin e Cusinati con un loro amico, Ottone Rovato, erano seduti ad un caffè a ristorarsi dall'arsura della giornata estiva. A un certo punto Zenatello, alzando gli occhi verso l'Arena, esclamò: "Ecco il gran teatro che tanto vado cercando e che, io penso, si può prestare per fare delle fantastiche rappresentazioni di opere liriche. Basterebbe soltanto che avesse una buona acustica. Il resto c'è tutto. Io lo vedo già. Perché non andiamo subito a provare le voci?"
Suggestionati dall'idea di poter fare dell'Arena un grande teatro popolare, si alzarono tutti ed entrarono nell'anfiteatro. Zenatello salì in alto, sui gradini, di fronte al podio che dà verso via Mazzini, dove erano rimasti gli altri, e cantò il brano "Celeste Aida". Il maestro Serafin, alla fine della romanza, scattò con un "bravo", che Zenatello colse al volo. L'acustica, dunque, aveva retto alla prova, era anzi risultata addirittura perfetta. Sormontato questo ostacolo, tutto il resto si svolse poi rapidamente, e andò a gonfie vele.

Nel 1913 cadeva, come s'è detto, il centenario verdiano, e così tutti d'accordo decisero di celebrare la nascita del genio di Busseto, allestendo una sua opera. Quale opera migliore di "Aida"? Proprio l'opera di cui Zenatello, inconsciamente e istintivamente, come se la cosa fosse predestinata, aveva eseguita la romanza, per provare l'acustica dell'anfiteatro.
Zenatello finanziò l'impresa. Egli e la Gay, inoltre, vi prestarono la loro valentia canora. Il maestro Serafin si diede da fare prima per completare il "cast", poi per formare l'orchestra, e quindi salì sul podio per dare il via alla prima esecuzione areniana. Il maestro Cusinati pensò alle masse e ai cori. A Ottone Rovato fu riservata la parte d'impresario. Per le scene venne scelto un altro amico, l'architetto Ettore Fagiuoli, il quale, con le idee che gli suggerirono Zenatello e la Gay, seppe risolvere la scenografia in forma semplice ma intonata all'ambiente areniano.
Il successo che ottenne l'iniziativa fece impallidire ogni più rosea aspettativa. Anche il clima favorì quella stagione: cielo sereno e temperatura calda ogni sera. (...)
Il più felice di tutti, naturalmente, era Giovanni Zenatello, perché fin dal suo primo successo, anni avanti, all'aristocratico Teatro Filarmonico, aveva sognato, com'è s'è detto, di poter un giorno realizzare un grandissimo teatro popolare, nel quale, appunto, tutti i suoi concittadini potessero avere la possibilità di gustare la lirica. (...)
Non certo a caso, Giovanni Zenatello, per la prova acustica, aveva scelto il brano "Celeste Aida". Egli già intuiva — e la sua intuizione sarà poi clamorosamente confermata dalla storia areniana — che il capolavoro verdiano era, fra tutte le opere liriche di ogni tempo, quello che più e meglio si sarebbe adattato all'Arena. (...)

(da: Nina Zenatello Consolaro - GIOVANNI ZENATELLO Tenore - Verona 1976)

«Giovanni Zenatello cantò ier sera, se è possibile, con anche maggior passione e slancio della prima sera. I suoi acuti classici — alla romanza del primo atto, al finale III° "sacerdote, io resto a te" suscitarono vampate di delirio: mentre tutto il resto dell'opera, e specialmente il divino duetto ultimo "Morir sì pura e bella" fu reso dal valorosissimo tenore con squisiti accenti di grazia e di dolore altamente commoventi.» (ARENA - 13-14 agosto 1913)

Ester Mazzoleni, la sublime Aida del 1913 - Compie 100 anni l’Arena di Verona
di Salvatore Aiello - Critico musicale

Quel 10 agosto del 1913 rivelò al mondo che l’Arena poteva trasformarsi in una sede unica ed ideale per gli spettacoli lirici all’aperto; il cielo era sereno e anche le stelle si presentarono puntualmente all’appuntamento con la storia alla presenza della nobiltà torinese, i Borghese, i Colonna, i Torlonia, i Ruspoli, e poi Boito, Cilea, Giordano, Mascagni, Montemezzi, Puccini, Pizzetti, Zandonai e, come se non bastasse, Gorkj e Kafka.
Novello Papafava dei Carraresi Alighieri così ne scrisse: “…..la scena del trionfo suscitò grande entusiasmo ma il maggiore della fusione artistica venne raggiunto nel terzo atto, il duetto tra Aida (Mazzoleni) implorante “O patria mia quanto mi costi “ ed Amonasro (Passuello) esortante a pensare che “un popolo vinto e straziato per te soltanto risorger può” dominò la folla fino alla fine dell’atto allorchè Zenatello lanciò il fatidico grido Viva Verdi!”
Ma soffermiamoci un attimo a raccogliere i consensi che da più critici vennero rivolti alla protagonista Ester Mazzoleni: “Questo grande soprano dai piani soavi e puri – ebbe a dire Renato Simoni – fu un’Aida indimenticabile per l’omogenea limpidezza del suono, la facilità del registro acuto e le insinuanti risorse del legato” e Contini sostenne che stupiva l’omogeneità e l’eleganza del porgere. Fraccaroli del Corriere della Sera aggiungeva: “Il terzo atto ebbe un grande successo; sedotto dalla bellezza della musica, il pubblico si tacque in un silenzio di ammirazione e ne godette la deliziosa poesia; bisogna dire però che al successo dell’atto contribuì la Mazzoleni che cantò con grazia, con vigoria, con freschezza straordinaria, fu dopo quest’atto che si ebbero le maggiori chiamate e le più entusiastiche”. Ramo del Mondo Artistico così recensì: “Un vivo successo ha ottenuto la Mazzoleni, la sua voce non ha dato mai segni di stanchezza, cosa eccezionale in una simile rappresentazione all’aperto, è stata una protagonista stupenda per gli squilli sonori ed ampi della sua voce, per il canto pieno di espressione.” A queste voci così autorevoli si aggiungeva il critico dell’Arena: “Ester Mazzoleni e Maria Gay quale meraviglioso binomio d’arte! Furono un’Aida e un’Amneris divine; osiamo dire che se tutta la grandiosità gigantesca di questa produzione avesse scosso l’animo di Verdi redivivo, le inarrivabili magnificenze liriche e drammatiche delle due artiste sarebbero giunte a commuoverlo”. Ma lasciamo a Boccardi concludere queste inestimabili testimonianze: “Quando la Mazzoleni cantava O terra addio, addio terra di pianto, pareva che si fosse dato appuntamento con la luna che ogni sera appariva in quel momento ed era una cosa eccezionale”. Tutta la compagnia di canto ricevette lodi unanimi dalla stampa veronese, ma particolare attenzione ed ammirazione circondarono l’Aida della Mazzoleni definita cantante di moderna sensibilità.






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