martedì 16 luglio 2024

Il diapason universale (o Corista unico) secondo Verdi, con Pedrotti, Bazzini, Ponchielli, Rossi, Faccio, Boito e Marchetti

Il CORISTA UNICO secondo Verdi


...il Diapason 'verdiano', tra 435 e 432 Hz...

Tuning Fork a1=435 compound vibrations (la3=870 v. s.)


Genova, 5 Gennaio 1871.

Sig. Maestro De Giosa [1]. — Al Cairo.

[1. - Nicola, da Bari: compose parecchie opere e dal 1864 in poi coprì onorevolmente la carica di direttore d'orchestra nei teatri di Napoli
(San Carlo), Venezia (Fenice), in quello di Buenos-Ayres e nel nuovo teatro Kediviale del Cairo.]

Ricevo la preg.ma sua del 22 Dicembre, e prima di rispondere dettagliatamente a quella lettera mi piace dirle che non vi può essere 'malinteso' fra noi, perchè non ho mai avuto la fortuna di trovarmi in rapporti con Lei, se si eccettui, or sono due anni, per la questione del 'diapason' di Napoli; e perchè difficilmente vi possono essere 'malintesi' con me che non m'occupo che delle cose mie, e su questo dico sempre la mia opinione apertamente per evitare appunto i malintesi. È vero che, per tornare alla questione del 'diapason', noi non fummo d'accordo allora, e vedo che no'l siamo nemmeno adesso. Io voleva propagare il 'Diapason' normale [2] e renderlo il più possibile universale; Ella mi proponeva un accomodamento che era un rimedio peggior del male. — Io voleva un 'diapason' solo, nel mondo musicale; Ella voleva aggiungere un altro ai troppi che già esistono. —
È verissimo che io aveva incaricato Muzio per venire al Cairo a mettere in scena "Aida" (secondo una clausola del mio contratto), e non vedo com' Ella possa trovare questa venuta a Lei dannosa. Mi permetta dirle, Sig. Maestro, ch'Ella vede qui soltanto un fatto personale, ed io vedo un fatto che è puramente artistico. Mi spiego: Ella sa meglio di me che in oggi le opere si scrivono con tanti e tali intendimenti scenici e musicali che è quasi impossibile interpretarli; e mi pare che nissuno possa offendersene se l'autore, dandosi una sua produzione per la prima volta, mandi persona che abbia studiato attentamente il lavoro sotto la direzione dell'autore stesso. — Confesso che s'io dovessi far eseguire, per la prima volta, un'Opera di un collega, non mi crederei affatto umiliato, anzi io domanderei per primo, di conoscere le sue intenzioni, non importa se da Lui stesso o da altri. -
Può darsi ch'Ella non sia anche questa volta della mia opinione; ma in me non è soltanto un'opinione, è una convinzione profonda da 28 anni di esperienza.
Voglia credermi, Egr. Sig. Maestro, con tutta la stima
Suo Dev.

[2. - Di 870 vibrazioni semplici (435 Hz), riconosciuto nel 1858 dall'Istituto di Francia. Per l'unità di questo 'diapason', Verdi aveva già spezzato una lancia fino dal 1867, consigliandolo al Ministro della pubbl. istruzione (V. "Il Teatro italiano", Anno I, N.2; Milano 1867).
In seguito però all'opinione espressa nel 1870 dal Meerens in una dissertazione presentata all'Istituto di Ginevra («Mémoire sur le diapason», Bruxelles, 1877), poggiante sopra dimostrazioni scientifiche comunicate già dal Ritter allo stesso Istituto ginevrino (Vol. III degli 'Atti'), si era andata pronunciando una corrente favorevole al diapason di 864 vibrazioni (432 Hz), corrente che determinò il voto del Congresso di Milano nel 1880. Fra le ragioni portate in campo, prevaleva quella pitagoreica del Meerens: che cioè il 'la' di 864 vibrazioni (432 Hz) si trovava in rapporto esatto col 'do' di 512 (Cfr. ADLER, in "Vierteljahrsschrift fiir Musikwissenschaft", 1888, p. 143, 'nota' 1.) e che era meglio divisibile per ottave dall'organo.
Verdi si associò a queste conclusioni riconoscendone i frutti già portati nelle bande militari del Regno (V. "Sulla scelta di un DIAPASON normale per le musiche e le fanfare del Regio Esercito", 1884; e ARCH. MONTANELLI, "La Riforma del DIAPASON in Italia", Milano 1885, ed alla vigilia della Conferenza di Vienna, a Boito, incaricato dal nostro Governo di rappresentarvi l'Italia, scriveva:

S.Agata, 8 Novembre 1885.

Caro Boito,
Non vi è punto di dubbio. — La conclusione della vostra lettera è perfetta.
Scopo principale: L'UNITÀ DEL DIAPASON. Cedere, se non si può a meno; non senza però dichiarare apertamente, altamente, e pubblicamente l'errore, dal lato scientifico, delle 870 citazioni. Voi avete la parola netta e facile, e metterete facilmente in evidenza la verità.
Si potrebbe benissimo coll'autorità dei nostri Conservatorj, dichiarare che noi riteniamo il diapason delle 864 perchè più giusto; ma questa fermezza potrebbe parere un puntiglio, una puerilità che si presterebbe quasi al ridicolo, e sarebbe subito afferrato dai nostri fratelli
d'oltralpi.
Conclusione: CEDERE ripeto, SE NON SI PUÒ A MENO; e UNITÀ ecc.
Scrivetemi da Vienna il risultato di tutto, e coi saluti di Peppina vi do il buon viaggio e vi dico addio.
Vostro G. VERDI.

(da: "I Copialettere di Giuseppe Verdi", a cura della Commissione Esecutiva per le Onoranze a Giuseppe Verdi nel primo Centenario della nascita - Milano, 10 ottobre 1913)



Lettera verdiana sul Diapason universale - Corista unico, riportata in "Gazzetta Musicale di Milano", 2 novembre 1884


Genova, 10 febbraio 1884.

Signore.
Fin da quando venne adottato in Francia il 'diapason' normale [435 Hz]*, io consigliai venisse seguito l'esempio anche da noi; e domandai formalmente alle orchestre di diverse città d'Italia, fra le altre a quella della Scala, di abbassare il 'corista' uniformandosi al normale francese. Se la Commissione musicale istituita dal nostro Governo crede, per esigenze matematiche, di ridurre le 870 vibrazioni [435 Hz] del 'corista' francese in 864 [432 Hz], la differenza è così piccola, quasi impercettibile all'orecchio, ch'io mi vi associo ben di buon grado.
Sarebbe grave, gravissimo errore adottare, come viene da Roma proposto, un 'diapason' di 900!!!
Io pure sono d'opinione con Lei che l'abbassamento del 'corista' non toglie nulla alla sonorità ed al brio dell'esecuzione; ma dà al contrario qualche cosa di più nobile, di più pieno e maestoso che non potrebbero dare gli strilli d'un 'corista' troppo acuto.
Per parte mia vorrei che un solo 'corista' venisse adottato in tutto il mondo musicale. La lingua musicale è universale: perché dunque la nota che ha nome 'la' a Parigi od a Milano dovrebbe diventare un 'si b' a Roma?
Ho l'onore di dirmi
Di Lei Devotissimo
F.to G. VERDI.

* Il "diapason normale" (La=435) a cui si riferisce Verdi è quello conservato al Museo del Conservatorio nazionale di Parigi, mentre il cosiddetto "diapason scientifico", a cui si riferisce il decreto e che fu approvato all'unanimità al congresso dei musicisti italiani del 1881, è quello proposto dai fisici Sauveur, Meerens, Savart, e dagli scienziati italiani Montanelli e Grassi Landi e calcolato su un Do centrale (indice 3) di 256 cicli al secondo.

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Giulio Ricordi a Giuseppe Verdi

Milano 4 Febbrajo 84.

Ill. Maestro —

Jeri fu da me il Bazzini = ecco di che si tratta: Si stanno formando 17 musiche militari pei nuovi reggimenti: in Milano v'è la commissione presieduta dal Bazzini: fra le proposte al Ministro, importante è quella del 'diapason': si è addottato quello Votato dal Congresso musicale di Milano, ch'è poi quello 'normale' francese, con una piccola differenza di vibrazioni, utile per ragioni fisiche e matematiche; credo 6 vibrazioni in più per minuto, insensibili all'orecchio - Ma ciò poco monta: addottato questo diapason per 17 bande, ne verrebbe la necessità di addottarlo poi per tutte: quindi si avrebbe l'unificazione dei fiati colle principali orchestre dei teatri: e poco a poco un diapason solo per tutta Italia, simile al normale. Ma v'è una commissione di alcuni maestri romani (con a capo un certo Fontana!!) che ha proposto al Baccelli un diapason di 900... il quale è quasi un sib!  si figuri che ira di Dio!.., dopo tanto faticare per abbassare un poco le nostre orchestre.
Bazzini dicevami giustamente che se si perde questa bella occasione, si casca in un 'caos' peggio di prima. Egli dunque per mezzo mio lo prega vivamente perché voglia appoggiare il diapason votato dal Congresso musicale, ed ora confermato dalla commissione per le nuove musiche militari - Ella avrà certamente modo di farne parlare, o scriverne al Baccelli: ed una di Lei parola, sarebbe una vera fortuna in una quistione di tanto interesse.
Mi affretto quindi a farle l'ambasciata di cui mi incaricò il Bazzini, che Le invia in pari tempo i più devoti saluti –
E termino la lunga chiaccherata col riverire Lei e la Signora Peppina e ripetermi Sempre Suo
riconoscentmo Giulio Ricordi


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IL CORISTA UNICO


Pubblichiamo oggi la 'relazione' della Commissione dei 'Capomusica' (...) l'ufficio di Presidenza del Congresso musicale era composto di Antonio Bazzini, presidente; Carlo Pedrotti, Franco Faccio, vice-presidenti.
(...) al Ministero di Pubblica Istruzione perchè la appoggiasse, il comm. Bazzini presentò la 'memoria' alla quale si accenna nell'articolo.
Ecco la 'relazione':

'Sulla scelta di un DIAPASON normale'
(...) Sarebbe superfluo ripetere qui la lunga storia dei tentativi fatti per ridurre i differenti 'diapason' ad uno solo, tipico ed universale. E, come disse bene l'illustre Verdi, sembra incredibile che non si sia potuto ancora far intendere a tutti essere una vera incongruenza che a Roma si chiami 'la' ciò che a Parigi si dice 'si b', mentre la musica è una sola in tutto il mondo, e le note di musica sono eterne ed immutabili come le leggi fisiche da cui dipendono! (...)


La Commissione, unanime, dopo fatte queste considerazioni, si dimostrò favorevole al 'corista' di 432 vibrazioni doppie. Ma non volendo, vista la gravità della questione, pronunciarsi senza essere maggiormente confortata dal parere di alcuni fra i più illustri maestri e compositori musicali italiani, interpellò i maestri Verdi, Ponchielli, Pedrotti, Bazzini, Boito, Faccio, Marchetti e Lauro Rossi.
Ecco le risposte senza aggiungere commenti; esse sono tali da lasciare la più profonda impressione in chiunque s'interessi al dibattutto argomento.
Notiamo soltanto che fra i più convinti fautori del nuovo 'diapason' sonvi gli illustri Direttori dei nostri due più celebrati istituti di musica: il Bazzini, direttore del Conservatorio di Milano e Lauro Rossi, direttore del Conservatorio di Napoli.

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Pesaro, 7 febbraio 1884.
Poichè la S.V. desidera ch'io Le manifesta la mia opinione intorno ad una questione di tanta importanza qual è l'unificazione del 'corista' in Italia, Le dirò francamente ch'io mi rimetto in tutto e per tutto a quanto venne votato dal Congresso musicale di Milano nel 1881.
Nell'interesse dell'arte sarebbe desiderabile che una buona volta venisse definita questa importante questione; ed a questo scopo io pure ho sottoscritto una relazione inviata al Regio Ministero della Pubblica Istruzione dal commendatore Bazzini, direttore del Conservatorio di Milano. - CARLO PEDROTTI

Milano, 9 febbraio 1884.
"Do intera la mia pprovazione al 'diapason' tipo 'la 3' 864 vibrazioni semplici [432 Hz], ed esorto l'onorevole Commissione ad appoggiarlo col suo voto autorevole" - A.BAZZINI

Genova, 10 febbraio 1884.
Se la Commissione musicale istituita dal nostro Governo crede, per esigenze matematiche, di ridurre le 870 vibrazioni [435 Hz] del 'corista' francese in 864 [432 Hz], la differenza è così piccola, quasi impercettibile all'orecchio, ch'io mi vi associo ben di buon grado.
Sarebbe grave, gravissimo errore adottare, come viene da Roma proposto, un 'diapason' di 900!!! - G.VERDI

Milano, 10 febbraio 1884,
"Non si esiti ad adottare il 'diapason' approvato dal Congresso di Milano, poiché è il migliore, cioè di 864 vibrazioni semplici [432 Hz]. Anche Verdi, in una sua lettera recentissima diretta a Ricordi, appoggia vivamente e consiglia questa scelta" - A.PONCHIELLI

Napoli, 11 febbraio 1884.
"io fui presente al Congresso musicale tenutosi a Milano nel 1881, e nella grave questione del 'corista' fui pienamente d'accordo con le conclusioni che dall'accurata discussione se ne ebbero. Attalchè io non potrei mutare il mio avviso [432 Hz] che nel solo supposto caso che altro progetto mi si presentasse di quello di Milano 1881" - LAURO ROSSI

Milano, 12 febbraio 1884.
"mi vedevo in perfettissimo accordo colle deliberazioni che cotesta egregia Commissione è disposta a prendere intorno al 'diapason' corrispondente alle 432 vibrazioni complete, già discusso ed approvato nel 1881 dai congressiti di Milano." - FRANCESCO FACCIO

Nervi, 20 febbraio 1884.
"Ho già votato al Congresso dei musicisti del 1881 pel 'diapason' di 864 vibrazioni semplcii [432 Hz], e non ho mutato il mio parere d'allora i poi" - ARRIGO BOITO

Roma, 21 febbraio 1884.
"Nel 1881 questa R. Accademia [di Santa Cecilia], per ragioni d'opportunità, e cioè perchè non si fosse troppo discosti dal 'diapason' degli strumenti di cui si faceva uso nei teatri della città, tanto nelle orchestre come nella banda, trovò necessario adottare il 'la 3' corrispondente a 450 vibrazioni composte. Questo 'diapason' è tuttavia ritenuto troppo acuto ed è opinione di questo Consesso accademico che per l'effetto delle voci e degli istrumenti un 'diapason' tipo unico ed universale debba stabilirsi con minor numero di vibrazioni."
F.MARCHETTI

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La Commissione, non conservando più alcun dubbio sulla scelta, propose, dopo ciò (...) l'adozione definitiva del 'corista la 3' di 432 vibrazioni complete (...)
La Commissione si mostrò inoltre persuasa che l'abbassamento del 'diapason' non può menomamente scemare la sonorità degli strumenti, poichè non è la soverchia acutezza quella che dà brio alla musica. Anzi la soverchia acutezza è a danno della sonorità, altera il timbro e snatura il carattere degli strumenti. Non si avrà quindi più l'inconveniente di sentire strumenti frizzanti e stridenti, e si avrà il vantaggio che i suoni saranno cavati con minore fatica, e gli strumenti potranno con molta maggiore facilità essere adoperati in tutta la loro estensione. (...)
Si dirà che il 'diapason' a 432 vibrazioni è troppo basso. E' un pregiudizio; è questione di abitudine. Quello francese di 435 si può acusticamente ritenere per uguale. Abbiamo duqnue due nazioni che convengono in un 'diapason' unico. Anzi noi abbiamo fiducia che la Francia, persuasa delle ragioni irrefutabili che additano il nostro 'corista' come l'unico scientificamente universale, abbandonerà le tre vibrazioni eccedenti, le quali sono forse la causa prima del niun pratico risultato che ebbe la proclamazione del suo 'corista' internazionale.
I grandi maestri compositori, i direttori dei Conservatori, i professori stessi ritengono essere necessario abbassare il 'diapason'. La stessa Accademia di Santa Cecilia in Roma, istituto di molta importanza, sembra ormai aver pur essa abbandonata l'idea del 'corista' a 450 vibrazioni doppie, giacchè il chiarissimo suo presidente, il Marchetti, riconosce, nella bellissima sua lettera, la necessità d'un minor numero di vibrazioni.
(...) è ad augurarsi che fra non molto il Ministero stesso accetti e adotti per tutti gli Istituti musicali il 'diapason' normale di 432 vibrazioni doppie, il quale sarà così il 'corista ufficiale italiano', e diverrà ben presto il 'corista universale'.

Roma, 16 agosto 1884. 


mercoledì 1 novembre 2023

La VOCE VERDIANA secondo VERDI

Il maestro Verdi ringrazia il pubblico scaligero dopo aver seguito Rossini nel 1892, per il Centenario rossiniano

«La voce – scriveva Verdi al Somma – non importa sia grossa o piccola, basta che si senta, ma intelligenza, anima...» !!! - (Parigi 17 maggio 1854)

«Certo che in Germania non mancano le voci, esse sono quasi più sonore di quelle italiane, ma i cantanti considerano il canto come una ginnastica, si occupano ben poco di perfezionarsi e aspirano solo a crearsi un vasto repertorio entro il più breve tempo possibile. Non si prendono la briga di mettere nel loro canto un bel fraseggio; tutta la loro aspirazione non consiste altro che nell’emettere questa o quella nota con grande potenza. Perciò il loro canto non è un’espressione poetica dell’anima, bensì una gara fisica del loro corpo.»

(da "Verdi in Wien", intervista a Giuseppe Verdi, su "Neue Freie Presse" - Vienna, 9 giugno 1875)

«Si è talvolta ingiusti verso i cantanti italiani quando li si accusa di trascurare la scena per amore del "belcanto". E però quanti cantanti vi sono che riuniscono le due cose, che sanno cantare e recitare? Nell'opera comica le due cose unite sono facili. Ma nell'opera tragica! Un cantante che è preso dall'azione drammatica, a cui vibra ogni fibra del corpo, che s'immedesima totalmente nel ruolo che rappresenta, non troverà il giusto tono. Forse per un minuto, ma nel successivo mezzo minuto egli canta già falso o la voce gli viene a mancare. Per l'azione e il canto raramente sono sufficienti forti polmoni. E pertanto sono dell'opinione che nell'opera la voce ha soprattutto il diritto di essere ascoltata. Senza voce non vi è canto giusto

(da "L'opinione di Verdi sul canto", in "Signale für die musikalische Welt", Leipzig, luglio 1875)

lunedì 30 ottobre 2023

L'inaugurazione delle Feste Verdiane a Parma e l'AIDA di Ester Mazzoleni a Verona e Milano (estate 1913)

L'INAUGURAZIONE DELLE FESTE VERDIANE A PARMA. — 18 agosto. L'aspetto del Teatro Farnese durante la cerimonia. - ("L'Illustrazione Italiana", 24 agosto 1913)


- Le feste Verdiane di Parma. -
La Mostra del Teatro.

Parma ha iniziate splendidamente lunedì, 18 agosto, le feste per il centenario di Giuseppe Verdi, inaugurando le esposizioni speciali preparate con grande fervore. Alla festa era presente il Governo, in persona del ministro Nitti, accompagnato dal presidente del Senato, Manfredi — che fu, con Verdi, nella deputazione che presentò a Vittorio Emanuele II nel '59 i voti di Parma per l’annessione. Alla festa odierna erano anche presenti le rappresentanze del Parlamento e dei grandi istituti musicali, artistici d'Italia. Per l'occasione fu restaurato e reso praticamente utilizzabile il magnifico teatro Farnese, che una fotografia, eseguita espressamente dal nostro fotografo Tarantola, mostra in tutto lo splendore di questa cerimonia, alla quale accorse un pubblico affollato e sceltissimo, animato dal più schietto entusiasmo.
Parlò primo il senatore Mariotti, sindaco di Parma; poi parlarono l'avv. Guido Tedeschi, presidente del comitato esecutivo; l'avv. Melli, solerte presidente del comitato per la Mostra Storica del Teatro Italiano; ed il ministro Nitti, che dichiarò ufficialmente aperte le esposizioni.
Oltre a quella del Teatro, — interessantissima, e della quale l’ILLUSTRAZIONE si occuperà specialmente — furono inaugurate la Mostra retrospettiva d'Arte Emiliana, la Mostra di Agricoltura e la Mostra di Motocultura (aratura meccanica). Fu anche inaugurata la nuova sala del Consiglio della Camera di Commercio. Così Parma ha degnamente iniziate le feste verdiane, che si svolgeranno per due mesi, è delle quali il nostro giornale parlerà ancora.

(L'ILLUSTRAZIONE ITALIANA - 24 agosto 1913)

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L’attenzione pubblica va di preferenza alle grandi feste verdiane per le quali l’Italia mostra una così geniale fecondità di trovate e di mezzi, davvero sorprendente. È una gara a chi fa di più, a chi fa meglio. Verona con le sue rappresentazioni dell’ "Aida" nella grande Arena ha già veduti a quest'ora quattro imponenti pienoni.... da cinquantamila lire l’uno. Ora è Parma che inaugura le sue feste verdiane — essa, per la quale Verdi è gloria, prima di tutto, conterranea. Parma inscena nel magnifico Teatro Farnese un’inaugurazione il cui ambiente grandioso non potrà essere superato da nessun’altra, ed inaugura quattro esposizioni d’un tratto — primissima fra tutte l’Esposizione storica del Teatro Italiano, che è riuscita mirabile per il modo come è disposta e per la preziosità intellettualmente e spiritualmente suggestiva del suo contenuto.
Le esposizioni parmensi sono l’elogio parlante dello spirito di iniziativa, dell’operosità preparatrice, del senso d’ordine e della gustosa intellettualità di coloro che le hanno pensate, volute e preparate. Queste, in verità, sono le esposizioni che riescono — perchè ideate e messe insieme da gente che esplica la propria geniale attività in ambienti e per specializzazioni in cui si è formata una preparazione, ed a cui si è dedicata.

(L'ILLUSTRAZIONE ITALIANA - 24 agosto 1913)

 

Ester Mazzoleni nell' "Aida ("L'Illustrazione Italiana", 21 settembre 1913)

RIVISTA TEATRALE.
Intorno al Centenario Verdiano.

Le feste per il Centenario di Giuseppe Verdi infuriano in tutta la penisola. Non v’ha città grande o piccola che non annoveri tra le sue mura un comitato di festeggiamenti verdiani e che non prepari qualche manifestazione in onore del grande maestro. Nei paesi ove non esiste teatro, ci pensa la banda; ove manchi la banda c’è sempre un conferenziere; alla peggio, qualche cinematografo ambulante riproduce qualche scena del "Rigoletto" o dell’ "Aida".
A Parma oltre la bella esposizione del teatro, abbiamo al Regio una grande stagione verdiana con artisti di cartello, alla quale farà seguito un'altra stagione verdiana al "Reinach", rimesso a nuovo, diretta dal maestro Campanini.
Nel piccolo teatro Verdi di Busseto, Arturo Toscanini dirigerà il "Falstaff" e la "Traviata". A Verona s’è data l’ "Aida" nell’Arena per iniziativa del tenore Zenatello, che ha guadagnato, dicesi, nell’impresa, oltre centomila lire. Con l’ "Aida" si è riaperto il teatro Dal Verme di Milano, ed Ester Mazzoleni, la cantatrice squisita di cui pubblichiamo il ritratto, ha ritrovato il successo entusiastico che già ebbe nella stessa parte a Verona. E l’ "Aida" riavremo a Milano tra poco alla Scala che si riapre il 1.° ottobre con una stagione dedicata tutta a Giuseppe Verdi: "Nabucco", "Aida", "Otello", "Falstaff", "Messa da Requiem".
A Milano ancora avremo, in occasione dell’inaugurazione del monumento, congressi musicali, rappresentazioni verdiane al teatro del Popolo, conferenze di Fradeletto, di Benelli e di Max Nordau, pellegrinaggio alle Roncole, concorsi corali. Un altro monumento s’inaugura a Busseto, un altro si dovrebbe inaugurare a Parma; e vi faccio grazia dei molti volumi, delle monografie e degli opuscoli che si vanno pubblicando per la circostanza.
Con molta più semplicità si è celebrato in Germania il centenario di Richard Wagner, e ricordo che il centenario di Gioachino Rossini ebbe in Milano una sola, ma solenne e grandiosa manifestazione: lo "Stabat Mater" eseguito alla Scala e diretto niente meno che da Giuseppe Verdi.
Nondimeno non siamo d’accordo con quelli che condannano senz’altro questa manìa commemorativa che ha preso gl’italiani. C’è in queste manifestazioni un poco chiassose e festaiole, un sentimento nobile e sincero di riconoscenza e di venerazione per il grande cantore le cui immortali armonie si riallacciano così strettamente alla risurrezione d’Italia. Il Centenario Verdiano è profondamente sentito dal popolo e se le manifestazioni sono eccessive non sono però artificiose.
Tuttavia il Cantore che volle essere portato alla sepoltura nell’umile carro dei poveri, nell’ora che precede l’aurora, l’uomo che fu sempre schivo di onori e di cerimonie, che rifiutò titoli nobiliari, che visse modesto senza essere sdegnoso, non prevedeva certo tanto scalpore per il suo centenario. Se lo avesse previsto avrebbe forse aggiunto una postilla a quella nobilissima pagina che è il suo testamento; forse, dato che celebrare in qualche modo si dovesse il centenario della nascita, egli avrebbe pregato che tutto si limitasse all’esecuzione della sua "Messa da Requiem" nel gran salone di quella Casa di Riposo ch’egli legò ai musicisti poveri.
Ma non si è mai abbastanza previdenti.
Ai vivi che sono sospetti d’immortalità, serva l’ammaestramento, e a costo di sembrare immodesti, lascino anche sulla cerimonia del probabile centenario le loro volontà precise. Può darsi che i posteri non le rispettino.
- Guido. 

 (L'ILLUSTRAZIONE ITALIANA - 21 settembre 1913)

 



L'AIDA nell'Arena di Verona per il Centenario di Giuseppe Verdi (1813-1913), grazie ai veronesi Zenatello e Fagiuoli - 10 agosto 1913

L'AIDA nell'Arena di Verona per il Centenario di Giuseppe Verdi (Impressione dal vero del nostro inviato speciale L. Bompard). - 25mila persone gremirono la Grande Arena di Verona la sera del 10 agosto 1913 per la rappresentazione dell'AIDA, eseguita da artisti di cartello e diretta dal M° Tullio Serafin.

- L' "AIDA" DI VERDI NELL'ARENA DI VERONA. -


«Veronesi tuti mati!» così ripete per i cittadini di Verona, nati sotto l'aure del Monte Baldo, l'epigramma che la tradizione ha consacrato e nel quale ce n'è per tutti i veneti, di Venezia come di Padova, di Rovigo come di Vicenza e d'altrove.
E «tuti mati» nel senso geniale e simpatico della frase, erano tutti i bravi veronesi d'ambo i sessi la scorsa settimana — sospese le discussioni sulla estetica conservazione di Piazza Erbe — e non d'altro preoccupati che di sapere se il diluviante e tempestante Giove Pluvio — il Pulvio Zocchi delle nuvole — avrebbe permessa domenica sera la prima rappresentazione dell' "Aida" nell'Arena, nella grandiosa imponente, superstite Arena, che tante cose vide nei secoli!...
Giove Pluvio minacciò fino all'ultimo: sabato sera rovesciò acqua a catinelle, impedendo la prova generale; ma prima che arrivasse la mezzanotte, il cielo si fece bellamente sereno: Giove Pluvio aveva esaurito a quell'ora tutto il suo collettivismo diluviale.
E domenica sera, quando tutti gli accessi all'Arena dalla parte dell'Ala e dalla parte del Listone, dalla Gran Guardia Vecchia e dal palazzo del Municipio brulicavano di una immensa folla, romorosa, ansiosa, variopinta, indefinibile, che Verona non aveva mai più veduta da mezzo secolo — domenica sera il cielo stendeva al di sopra della caratteristica immensa piazza Brà, fatta di tre o quattro piazze che si susseguono a semicerchio, e al di sopra dell'immensa Arena una volta di cobalto superbamente orientale ingemmata di fulgide stelle, e di una luna timidetta, che al disopra dei palazzi fronteggianti il Listone pareva affacciarsi anch'essa, curiosa di uno spettacolo che farà epoca negli annali dell'Arena vetusta.


Sorta nell'epoca dei primi Antonini — pare — un settanta anni dopo Cristo; scrollata da frequenti terremoti, specialmente tra il 243 ed il 1184 — anno nel quale rovinò la cerchia esterna — di cui non restano che le tre alte arcate verso San Nicolò, dette l'Ala — l'Arena di Verona subì tutte le vicende delle varie civiltà che le succedettero intorno; ma domenica sera vide culminare una rinascita, che è stata possibile, prima, grazie alle cure costanti, che in quest'ultimi cinquant'anni cospicui cittadini, come il conte Pompei, ed il Municipio hanno saputo avere per il grandioso monumento; poi per la originalissima genialità del tenore Zenatello, che è stato il creatore vero, spirituale e tenace di questa resurrezione artistica, urtante contro molte convenienze tradizionali, affrontante molte difficoltà, ma degna di una commemorazione verdiana che ha voluto essere "hors ligne", e degna di una città che nella pompa dei suoi monumenti romani, scaligeri, gotici, longobardi, cinquecenteschi è una delle più belle e più care di questa nostra bellissima Italia.
C'era da pensarci su a risolvere il problema complicato. Dove e come piantare il palcoscenico; come sottrarsi a tutte le comode finzioni che in un teatro
chiuso, a palcoscenico trasformabile fuori della vista del pubblico, sono ad ogni momento possibili?...
Il problema lo ha risolto il bravo architetto Ettore Fagiuoli, di cui l'ILLUSTRAZIONE riproduce in questo numero due disegni originali, riproducenti la scena del I.° atto e quella del IV.° Essi danno una chiara idea dell'adattamento scenico da lui studiato. La scena è in parte fissa e in parte mobile. La parte fissa è — oltre al piano del palcoscenico — le due sfingi e i due obelischi che stanno ai lati del boccascena, e il grande portale in fondo.
Le colonne e gl'idoli, i pilastri, le piante sono mobili ed il pubblico assiste al loro spostamento o collocamento tra un atto e l'altro. Il Fagiuoli ha superate così le maggiori difficoltà, ed ha anche saputo calcolare gli effetti della luce artificiale sapientemente distribuita con riflettori e con l'immancabile ribalta.
Quasi un mese è durato il lavoro di adattamento di questo eccezionale palcoscenico, addossato al pulvinare, ed alzato fino al livello delle prime gradinate. Un segmento dell'ampio circo si è dovuto utilizzare, togliendolo al pubblico. Trenta metri di sfondo e quarantacinque di larghezza sono stati dati a questo palcoscenico singolare. Ma l'Arena di Verona, dalla forma elittica, occupa nell'emiciclo una superficie di circa 3300 metri quadrati: la sottrazione di circa 1400 non disturba gran che; poi restano le quarantadue gradinate, utilizzabili fino all'ultimo centimetro quadrato, ed elevantisi a circa venti metri tutt'in giro!... I grandi circhi di Roma e di Capua superano per ampiezza quello di Verona; ma l'Arena Veronese è superiore all'Arena di Pozzuoli.
Si è sempre calcolato che nell'Arena di Verona potessero trovar posto, sedute, un ventimila persone — esclusa la piazza elittica centrale. Per l' "Aida", salvo, come ho detto, la parte non eccessiva, della piazza, usufruita per l'erezione del palcoscenico, ne sono stati utilizzati i rimanenti 2000 metri quadrati circa per farne una platea invasa da file di poltrone, di posti distinti e numerati; onde è legittimo il computo che domenica sera l'Arena raccogliesse nel cospetto della «celeste Aida» venticinquemila spettatori per lo meno!...
In quel recinto superbo, che vide i giuochi dei gladiatori, le caccie alle bestie feroci, i martirii dei primi cristiani e più tardi, in tempi di fede cieca, molto cieca, i supplizi degli eretici, i "giudizi di Dio" pei singolari certami, ed i tornei, fino, da ultimo, la grandiosa festa popolare del 1897 in onore di re Umberto che ne fu impressionatissimo, — in quel recinto superbo è stata una vera audacia piantare un palcoscenico senza uguali e trasportare «le foreste imbalsamate» nascondenti le rive del Nilo, lasciate all'immaginazione del pubblico.... E l'audacia, come quasi sempre avviene, ha trionfato!...
Si è affermato che la messa in scena di questo spettacolo incomparabile abbia costato 150 mila lire: l'incasso della prima sera ne ha date 40 mila. Ne auguro altrettante per ciascuna delle sere susseguenti. L'audacia vittoriosa merita premio; lo meritano la bontà dell'insieme artistico, l'entusiasmo cortese e il sacro fervore collettivo di cui Tullio Serafin, Zenatello, la Mazzoleni, la Gay-Zenatello, il Mansueto, i settecento anonimi formanti la massa corale e danzante, l'orchestra — in gran parte della Scala — tutti insomma diedero splendida prova perchè lo spettacolo riuscisse degno del gran nome di Verdi e — oltre la classica cerchia dell'Arena — degno dell'Italia.

La critica è padrona, padronissima di trovare che questo si poteva ideare così e quest'altro così e così; ma il pubblico, che sente, che ama, che ha pronto per le cose nuove, belle, originali il suo sempre vergine e rinnovantesi entusiasmo; il pubblico — accorso da tutto il Veneto, da Milano — d'onde erasi mosso anche il conte di Torino — da ogni parte d'Italia; il pubblico ingenuo accendente negl'intervalli i cerini sulle alte gradinate, simulando i "moccoletti", e gustante, negl'intermezzi, un cenino improvvisato all'aperto; gli spettatori consapevoli e "blasés" delle poltrone e dei posti riservati; i poco audenti della vasta platea, ed i felicemente collocati delle alte scalee, tutti hanno provato momenti di quel vero entusiasmo che non discute. Non c'era da giudicare l' "Aida", che ha quarantadue anni di gloria, attraverso i mari ed i continenti. C'era da godere l' "Aida" in un ambiente incomparabile, nuovo, mai pensato dianzi, organizzato e suscitato con rapidità — relativa — che non lasciava campo ad alternative di troppi studi e di troppi progetti; e gli applausi del pubblico, le chiamate agli artisti ed al maestro; le acclamazioni allo spettacolo preso e sentito in tutto il suo novissimo insieme; l'urlo che rispose al «viva Verdi» mandato fra l'ovazione finale da Zenatello — il "deux ex machina" di questa creazione — dissero, al di sopra di ogni critica possibile, che la Commemorazione Verdiana ideata a Verona rimarrà, quale a tutti apparve, incomparabile, e formerà nel ciclo delle italiche feste verdiane di quest'anno centenniale, un numero che non si uguaglia, e non si discute — si corre a vedere, perchè non si vedrà più facilmente altrove, e si applaude!...
Vril.

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L'AIDA nell'Arena di Verona.
—I bozzetti per le scene ideati dall'architetto Fagiuoli—

Scena dell'atto IV. - Scena dell'atto I.

(su: L'ILLUSTRAZIONE ITALIANA, 17 agosto 1913) 

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ESTER MAZZOLENI, prima 'Aida' all'Arena di Verona, assieme a Zenatello e alla Gay nel 1913:
"Stavo guardando appunto la bella Verona, ricordando il telegramma che avevo ricevuto invitante a partecipare a questo spettacolo (...) e rimasi perplessa, perché mi spaventai per quanto l'invito parlasse di molte masse, di molta 'messa in scena', di cavalli, eccetera... mi spaventai per la voce e mi consultai con mio padre il quale mi incoraggiò perché disse: 'Se non sentiranno te, non sentiranno neanche gli altri'. Invece è successo che appunto i piani di 'O cieli azzurri', è vero, e tutti i filati risultarono molto meglio che la voce forte."!!!



«L'arte — soleva dire Zenatello — "la vera arte", presentata in una qualsiasi delle sue molteplici forme, può accomunare veramente tutti gli animi umani»!!!

Zenatello è sicuramente l'unico tenore del mondo che nella pur lunga e logorante carriera non chiese mai d'essere sostituito. Assai sovente sapeva imporsi quella vita sana e regolata che è necessaria ai cantanti in genere e in particolar modo ai tenori. Mai nessun stravizio. Non beveva, non fumava. Era regolarissimo sotto ogni aspetto. Gli sarebbe piaciuto viaggiare soltanto per il proprio piacere, visitare nuovi luoghi, poiché il suo carattere di romantico sognatore lo attirava verso tutte le cose che fossero lontane e sconosciute. Viaggiò, sì, e molto, ma per recarsi quasi sempre soltanto dove i suoi impegni teatrali lo costringevano. (...)
Arriviamo, così, all'estate del 1913. In quell'anno Zenatello volle rinunciare alla solita stagione del Colon di Buenos Ayres, perché già da qualche tempo aveva in mente un progetto, che ora voleva realizzare al più presto. Tanto più che nel 1913 si compiva il centenario della nascita di Giuseppe Verdi. Voleva che i veronesi tutti fossero in grado di partecipare a una commemorazione del maestro che gli era tanto caro. Voleva inoltre — e questa era l'idea che da molto tempo aveva in testa — fondare nella sua città un grande teatro, un teatro popolare, in modo che grandi folle potessero assistere agli spettacoli che vi si fossero dati; spettacoli che, pur dovendo essere naturalmente di altissimo livello artistico, potessero anche essere alla portata economica di ogni cittadino.
Tornò in Italia, e sostò nella sua Verona.  
Un caldo giorno del giugno 1913, nella splendida Piazza Bra di Verona, Zenatello, Maria Gay, i maestri Serafin e Cusinati con un loro amico, Ottone Rovato, erano seduti ad un caffè a ristorarsi dall'arsura della giornata estiva. A un certo punto Zenatello, alzando gli occhi verso l'Arena, esclamò: "Ecco il gran teatro che tanto vado cercando e che, io penso, si può prestare per fare delle fantastiche rappresentazioni di opere liriche. Basterebbe soltanto che avesse una buona acustica. Il resto c'è tutto. Io lo vedo già. Perché non andiamo subito a provare le voci?"
Suggestionati dall'idea di poter fare dell'Arena un grande teatro popolare, si alzarono tutti ed entrarono nell'anfiteatro. Zenatello salì in alto, sui gradini, di fronte al podio che dà verso via Mazzini, dove erano rimasti gli altri, e cantò il brano "Celeste Aida". Il maestro Serafin, alla fine della romanza, scattò con un "bravo", che Zenatello colse al volo. L'acustica, dunque, aveva retto alla prova, era anzi risultata addirittura perfetta. Sormontato questo ostacolo, tutto il resto si svolse poi rapidamente, e andò a gonfie vele.

Nel 1913 cadeva, come s'è detto, il centenario verdiano, e così tutti d'accordo decisero di celebrare la nascita del genio di Busseto, allestendo una sua opera. Quale opera migliore di "Aida"? Proprio l'opera di cui Zenatello, inconsciamente e istintivamente, come se la cosa fosse predestinata, aveva eseguita la romanza, per provare l'acustica dell'anfiteatro.
Zenatello finanziò l'impresa. Egli e la Gay, inoltre, vi prestarono la loro valentia canora. Il maestro Serafin si diede da fare prima per completare il "cast", poi per formare l'orchestra, e quindi salì sul podio per dare il via alla prima esecuzione areniana. Il maestro Cusinati pensò alle masse e ai cori. A Ottone Rovato fu riservata la parte d'impresario. Per le scene venne scelto un altro amico, l'architetto Ettore Fagiuoli, il quale, con le idee che gli suggerirono Zenatello e la Gay, seppe risolvere la scenografia in forma semplice ma intonata all'ambiente areniano.
Il successo che ottenne l'iniziativa fece impallidire ogni più rosea aspettativa. Anche il clima favorì quella stagione: cielo sereno e temperatura calda ogni sera. (...)
Il più felice di tutti, naturalmente, era Giovanni Zenatello, perché fin dal suo primo successo, anni avanti, all'aristocratico Teatro Filarmonico, aveva sognato, com'è s'è detto, di poter un giorno realizzare un grandissimo teatro popolare, nel quale, appunto, tutti i suoi concittadini potessero avere la possibilità di gustare la lirica. (...)
Non certo a caso, Giovanni Zenatello, per la prova acustica, aveva scelto il brano "Celeste Aida". Egli già intuiva — e la sua intuizione sarà poi clamorosamente confermata dalla storia areniana — che il capolavoro verdiano era, fra tutte le opere liriche di ogni tempo, quello che più e meglio si sarebbe adattato all'Arena. (...)

(da: Nina Zenatello Consolaro - GIOVANNI ZENATELLO Tenore - Verona 1976)

«Giovanni Zenatello cantò ier sera, se è possibile, con anche maggior passione e slancio della prima sera. I suoi acuti classici — alla romanza del primo atto, al finale III° "sacerdote, io resto a te" suscitarono vampate di delirio: mentre tutto il resto dell'opera, e specialmente il divino duetto ultimo "Morir sì pura e bella" fu reso dal valorosissimo tenore con squisiti accenti di grazia e di dolore altamente commoventi.» (ARENA - 13-14 agosto 1913)

Ester Mazzoleni, la sublime Aida del 1913 - Compie 100 anni l’Arena di Verona
di Salvatore Aiello - Critico musicale

Quel 10 agosto del 1913 rivelò al mondo che l’Arena poteva trasformarsi in una sede unica ed ideale per gli spettacoli lirici all’aperto; il cielo era sereno e anche le stelle si presentarono puntualmente all’appuntamento con la storia alla presenza della nobiltà torinese, i Borghese, i Colonna, i Torlonia, i Ruspoli, e poi Boito, Cilea, Giordano, Mascagni, Montemezzi, Puccini, Pizzetti, Zandonai e, come se non bastasse, Gorkj e Kafka.
Novello Papafava dei Carraresi Alighieri così ne scrisse: “…..la scena del trionfo suscitò grande entusiasmo ma il maggiore della fusione artistica venne raggiunto nel terzo atto, il duetto tra Aida (Mazzoleni) implorante “O patria mia quanto mi costi “ ed Amonasro (Passuello) esortante a pensare che “un popolo vinto e straziato per te soltanto risorger può” dominò la folla fino alla fine dell’atto allorchè Zenatello lanciò il fatidico grido Viva Verdi!”
Ma soffermiamoci un attimo a raccogliere i consensi che da più critici vennero rivolti alla protagonista Ester Mazzoleni: “Questo grande soprano dai piani soavi e puri – ebbe a dire Renato Simoni – fu un’Aida indimenticabile per l’omogenea limpidezza del suono, la facilità del registro acuto e le insinuanti risorse del legato” e Contini sostenne che stupiva l’omogeneità e l’eleganza del porgere. Fraccaroli del Corriere della Sera aggiungeva: “Il terzo atto ebbe un grande successo; sedotto dalla bellezza della musica, il pubblico si tacque in un silenzio di ammirazione e ne godette la deliziosa poesia; bisogna dire però che al successo dell’atto contribuì la Mazzoleni che cantò con grazia, con vigoria, con freschezza straordinaria, fu dopo quest’atto che si ebbero le maggiori chiamate e le più entusiastiche”. Ramo del Mondo Artistico così recensì: “Un vivo successo ha ottenuto la Mazzoleni, la sua voce non ha dato mai segni di stanchezza, cosa eccezionale in una simile rappresentazione all’aperto, è stata una protagonista stupenda per gli squilli sonori ed ampi della sua voce, per il canto pieno di espressione.” A queste voci così autorevoli si aggiungeva il critico dell’Arena: “Ester Mazzoleni e Maria Gay quale meraviglioso binomio d’arte! Furono un’Aida e un’Amneris divine; osiamo dire che se tutta la grandiosità gigantesca di questa produzione avesse scosso l’animo di Verdi redivivo, le inarrivabili magnificenze liriche e drammatiche delle due artiste sarebbero giunte a commuoverlo”. Ma lasciamo a Boccardi concludere queste inestimabili testimonianze: “Quando la Mazzoleni cantava O terra addio, addio terra di pianto, pareva che si fosse dato appuntamento con la luna che ogni sera appariva in quel momento ed era una cosa eccezionale”. Tutta la compagnia di canto ricevette lodi unanimi dalla stampa veronese, ma particolare attenzione ed ammirazione circondarono l’Aida della Mazzoleni definita cantante di moderna sensibilità.






Cantare "di testa" - Consiglio tecnico di Verdi rivolto alla prima interprete di Desdemona - Romilda Pantaleoni - nel suo "Otello"


(I) Lettera di Verdi al maestro Faccio, che primo diresse alla Scala l'OTELLO, in data 2 settembre 1886, intestata da Sant'Agata (Piacenza) riguardante certo passo della parte di Desdemona nell' "Otello" verdiano:

«Caro amico, La signora Pantaleoni è partita un momento fa, e mi ha fatto sperare che ritornerà verso la metà di ottobre, una volta che sia completamente copiata, anzi stampata la sua parte. Ho consegnato a Giulio [Ricordi] il quart'atto, in cui Desdemona ha la parte maggiore e più difficile. La Canzone del Salice presenta difficoltà grandissime, tanto pel compositore come per l'artista esecutore.
Bisognerebbe che questi, come la SS.ma Trinità, avesse tre voci, una per Desdemona, un'altra per Barbara [l'ancella], ed una terza voce per il "Salce, salce, salce".
La voce della signora Pantaleoni avvezza a parti violente, ha molte volte gli acuti un po' troppo mordenti: vi mette, dirò così, troppo metallo. Se potesse abituarsi a cantare un po' più di testa le riuscirebbe più facilmente lo smorzato, e la voce sarebbe anche più sicura e più giusta. Io l'ho consigliata a far questo studio, e voi colla vostra influenza dovreste darle lo stesso consiglio. Intanto non è vero smpre che il "re" sia, com'ella dice, una pessima nota. Vi è un punto in cui gli riesce benissimo: "Sal-ce [p], sal-ce [più piano], saal-ce [ppp]" [re-si-re-si-re-si].
Questa frase si ripete tre volte. L'ultima volta bene: le altre due, meno.... (N.B. - in realtà da spartito, le volte sono quattro: la prima marcata con "PPPP, come una voce lontana", la seconda marcata con "F> - P dim. - PPP", la terza con "F> - P - PP come un eco", la quarta con "PPP come una voce lontana")
V'ho detto francamente quello che mi pare; e vi dico ancora che quantunque la parte di Desdemona non si attagli perfettamente al suo modo di dire e alla sua voce, pure col suo molto talento, col suo istinto scenico e con buona volontà e studio riuscirà benissimo.... Notate poi che molte e molte cose le vanno a pennello! Io non so cosa v'abbia scritto in tanta fretta. Cercate di capire. Addio. Peppina vi saluta. Vostro
G.VERDI»


(II) Lettera di Verdi al maestro Faccio, datata da Sant'Agata (Piacenza) 29 ottobre 1886:

«Caro Amico, Come sapete ieri partì la signora Pantaleoni. Sa benissimo tutta la sua parte, e, se la "stella" e il cervello del pubblico non saranno in quella sera ostili all'opera, ella caverà effetti si può dire dappertutto. Buonissimi nel quartetto e più nel duetto e finale del terz'atto, ed in tutto il quarto. Non vi è da aver paura dei "re" sull'A del Salce: andranno benissimo, se li farà meno mordenti e tutti "di testa", come del resto ho consigliato di cantare in quel modo in molti altri punti.
Se vi è qualche cosa a dire, si è nella scena del primo atto. Ci vorrebbe qualche cosa di più leggero, vaporoso, ed, diciamo la parola, di più voluttuoso, come vuole la situazione e la poesia. Dice i suoi "a solo" benissimo, ma li dice con troppo accento, e troppo drammaticamente. Del resto avremo altre prove, e arriveremo a trovare l'accento giusto. Resti questo fra noi. Se però voi le fate studiare qualche volta la parte, ditegli che canti, il più che può, di testa.
Ed ora, mio caro Faccio, vi prego caldamente di far studiar a Tamagno (quando sia arrivato) la sua parte. Egli è così inesatto nella lettura della musica, che vorrei proprio studiasse la parte con un vero musicista, per arrivare a fargli fare le note col suo valore ed in tempo. In quanto agli accenti, ai coloriti, agli allargando e stringendo, ecc., li faremo dopo, quando io avrò manifestate tutte le mie intenzioni di canto, di scena, ecc., ecc.
Ed ora di fretta vi saluto di cuore.
Vostro G. VERDI»

(lettere verdiane riportate in: L'ILLUSTRAZIONE ITALIANA, 5 ottobre 1913)

Verdi dirige ROSSINI alla Scala di Milano, l'8 aprile 1892

Commemorazione rossiniana alla Scala dir. da Verdi - 8 aprile (L'ILLUSTRAZIONE ITALIANA, 17 aprile 1892)

VERDI DIRIGE ROSSINI - Scala di Milano, 8 aprile 1892:


CORRIERE
(...) Chi ci accusa (...) di non essere più capaci di vero entusiasmo, non ha veduto venerdì passato il pubblico della Scala preso come da un accesso di frenesia nell’acclamare in Giuseppe Verdi una gloria italiana e nell’applaudire in lui la nobile semplicità con la quale consentì a prender parte alla solenne commemorazione di Rossini.
Un grande che rende omaggio ad un altro grande: Verdi che rende omaggio a Rossini: ecco il significato maggiore della commemorazione rossiniana dell’8 aprile alla Scala.
In quel teatro dove, nell’87, il Verdi rappresentava per la prima volta l’ "Otello", ottenendo un trionfo indescrivibile, ne ottenne un altro onorando il genio, del quale ha eclissato l’ "Otello" e pareggiata la gloria.
La sala era tutta una festa, uno splendore di eleganza, di beltà, di ricchezze. Sulla gradinata eretta sul palcoscenico, avevano preso posto qualtrocentocinquanta esecutori ed esecutrici: artisti, dilettanti, alunne del Conservatorio, alunni delle civiche scuole popolari, società corale Bellini, il corpo corale del teatro; e solisti di bella fama come la Darclée e la Bonaplata. Inoltre, tutta l'orchestra della Scala, con l’aggiunta di dilettanti che son professori. Un complesso di 600 esecutori!... Milano non ne aveva avuti mai tanti in una volta; e mai le altre città italiane. Quando il 3 maggio 1887, la salma del Rossini entrò nel tempio di Santa Croce a Firenze, erano trecento i cantori che, fra uomini, donne e fanciulli, eseguirono la preghiera del "Mosè"; allora dirigeva lo Sbolci.
In cima alla gradinata, sul palcoscenico, biancheggiava un gran busto del Rossini, "deus loci", opera del Quadrelli.

Fu eseguita tutta musica di Rossini e per primo la prima sua sinfonia: quella dell'opera "La cambiale di matrimonio", scritta nel 1810. Buona esecuzione e buona direzione: dirigeva il Mascheroni.

Dopo tenne un discorso l’eloquente oratore alla moda, il senatore Gaetano Negri, che considerò, applauditissimo, Gioachino Rossini in rapporto colla vita nazionale dell’età sua.
S’ebbe quindi lo "Stabat Mater"; e anche qui giova qualche ricordo.
Questo magnifico lavoro, che il cigno di Pesaro volle compiere non ostante quello del Pergolese, e che fu composto nella prima sua forma nel '32 e poi rifatto e completato nel '41 ed eseguito la prima volta nel Teatro Italiano a Parigi nel 7 gennaio del '42, venne udito a Milano alla Scala il 14 aprile di quello stesso anno, ma prima ancora (cioè il 16 marzo) in casa di un appassionato dilettante milanese, il signor Paolo Branca sotto la direzione di Gaetano Donizetti, avendo ad esecutori tre signorine Branca, la contessa Angiola Della Somaglia Cassera, Luigia Carissimi Giulini, Anna De La Grange, il conte Antonio Belgiojoso, Carlo Besana e Fodor.
I passi più belli del capolavoro rossiniano ridestarono anche questa volta alla Scala le solite emozioni. La signora Darclée dovette ripetere l'appassionato "Inflammatus", che rapisce.
Come la prima, così fu eseguita l’ultima sinfonia del Rossini: del "Guglielmo Tell"; così bene che si dovette ripeterne la seconda parte. Ma la curiosità era ormai eccitata per Verdi che dovea dirigere la preghiera del "Mosè" con tutti i seicento esecutori.
Quando il maestro comparve, una triplice salva d'applausi scoppiò irrefrenabile. Benchè «ai trionfi avvezzo», si leggeva nel suo volto la vivissima compiacenza. Egli rammentava altri applausi che lì, sullo stesso posto, mezzo secolo prima lo battezzavano maestro, allorchè si provava coll’ "Oberto conte di San Bonifacio"!... Da allora, quale cammino! Che salita...
Verdi ha attaccato la preghiera del "Mosè" col suo gesto decisivo. Egli ha la battuta larga, recisa. Nella sua figura c’è qualche cosa d’imperioso e di rigido insieme che impone. E che vigorosissima testa espressiva!
La sublime creazione dal Rossini improvvisata in pochi minuti in pantofole, e ascoltando la quale Balzac dicea che gli pareva d’assistere alla risurrezione di un popolo, fu eseguita alla perfezione coi più ammirabili coloriti, con effetto immenso.

Il nostro Lodovico Pogliaghi, l'illustratore della "Storia di Roma" e del "Medio Evo", rimase impressionato anch’egli dallo spettacolo imponente che il teatro presentava in quel momento, e per l'ILLUSTRAZIONE ITALIANA, fece il superbo disegno che inseriamo nelle due pagine di mezzo. La scena fu presa da un palco di seconda fila, e precisamente dal palco Melzi. Si vede dall’orchestra, emergere ritto, Giuseppe Verdi nell’atto in cui dirige la preghiera del "Mosè". Sul palcoscenico, in prima linea, biancovestite, stanno schierate le allieve del Conservatorio e i solisti. Si scorgono in fila le arpe, e su su, tutto l’esercito fitto delle esecutrici e degli esecutori. Chi ha pratica del teatro alla Scala, non durerà forse fatica nel riconoscere le pose e persino le "toilettes" delle signore frequentatrici più ammirate, nei palchi di fronte.

All'ultimo accordo dello "Stabat Mater" gli applausi scoppiarono come un uragano. Era un grido, un urlo solo d’entusiasmo: "Viva Verdi!" — Rossini era passato in seconda linea. Invece del centenario di Rossini, si festeggiava, con qualche anno di anticipazione, il centenario di Verdi. Si esaltava il vegliardo glorioso che ha scosso il mondo colle sue creazioni appassionate, che ha già finita, a quell'età, una nuova opera, "Falstaff", che era venuto apposta da Genova, per invito dell’Associazione della stampa lombarda promotrice del concerto, a rendere un tributo d’ammirazione all’immortale maestro. Le ovazioni si prolungarono, e si rinnovarono all’uscita dal teatro e alla porta dell’ "hotel" ove il Verdi si recava svelto, fresco, come un giovanotto di vent'anni che uscisse allora allora da una veglia.
È una serata che si ricorderà in eterno da chi ha avuto il piacere di assistervi.

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"Non so dire bugie: Falstaff è finito": questa notizia con cui Verdi ha lasciato Milano riempie di gioia e di curiosità i musicisti dei due mondi.

(disegno e recensione apparsi su L'ILLUSTRAZIONE ITALIANA del 17 aprile 1892) 

 

N.B. : Su L'ILLUSTRAZIONE ITALIANA del 5 ottobre 1913 appariva invece il disegno del Pogliaghi con questa descrizione: 'Lo Stabat Mater di Rossini alla Scala diretto da Giuseppe Verdi, per il centenario Rossiniano (Dall'ILLUSTRAZIONE ITALIANA del 1892)'

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 'La commemorazione Rossiniana alla Scala di Milano' - IL SECOLO ILLUSTRATO, 17 aprile 1892

"...Verdi volle unirsi all'omaggio reso all'illustre musicista che tutto il mondo onora dirigendo egli stesso quella spplendida pagina di musica che è la 'preghiera del Mosè'."
"...la parte più commovente della serata fu quella cui presiedette Giuseppe Verdi. Salutato al suo apparire da entusiastiche, interminabili ovazioni, il venerando maestro, con giovanile energia, diresse i 150 musicisti dell'orchestra nell'interpretazione della maestosa e semplice preghiera.
La commozione del pubblico fu così profonda e si tradusse in applausi così imponenti che Verdi dovette concedere la replica del pezzo e poscia sottrarsi all'entusiasmo, che pareva non dovesse calmarsi. Così la commemorazione rossiniana ebbe anche il significato di una solenne glorificazione del grande musicista vivente." !!!

IL CENTENARIO DI GIOACHINO ROSSINI AL TEATRO DELLA SCALA. ― Il maestro Verdi ringrazia il pubblico. (Disegno dal vero di A. Bonamore.) - IL SECOLO ILLUSTRATO, domenica 17 aprile 1892

domenica 29 ottobre 2023

PRESCRIZIONI VERDIANE da rispettare, musicalmente e scenicamente

ONORANZE A GIUSEPPE VERDI. Il Presidente della Repubblica Francese gli conferisce il Gran Cordone della Legion d'Onore, durante la rappresentazione dell' "Otello" all' "Opéra" di Parigi, da: LA TRIBUNA - Supplemento illustrato della Domenica, 28 ottobre 1894

Peppino non voleva che si alterassero le sue opere musicalmente parlando! Ma anche quanto all'aspetto scenico (sempre connesso con la musica) Verdi non sopportava le modifiche!!!

 

GIUSEPPE VERDI CONTRO LE MANOMISSIONI MUSICALI (La battaglia di Legnano):

"(...) Allo scopo di impedire le alterazioni che si fanno nei Teatri alle Opere musicali, resta proibito di fare nel suddetto spartito ["La battaglia di Legnano"] qualunque intrusione, qualunque mutilazione, d'abbassare o alzare i toni, insomma qualunque alterazione che richiegga il più piccolo cambiamento nell'istromentazione, sotto la multa di 1.000 franchi che io esigerò da te per qualunque teatro ove sarà fatta l'alterazione allo spartito. (...)"

(da una lettera di Giuseppe Verdi a Giovanni Ricordi - Milano, 20 maggio 1847


PROIBIZIONE VERDIANA DI FARE NELLO SPARTITO (Jérusalem) QUALUNQUE INTRUSIONE O MUTILAZIONE:

"Resta proibito di fare nello spartito qualunque intrusione o mutilazione (ad eccezione dei ballabili che si potranno levare), sotto la multa di mille franchi che io esigerò da te ogni qualvolta questo spartito venga fatto nei teatri d'altro cartello. Nei teatri di second'ordine la clausola esisterà parimenti e tu sarai obbligato studiare tutti i mezzi possibili onde esigere la multa in caso di contravvenzione: però, se tu non potrai esigerla, non sarai obbligato a pagarmela. Addio, addio!"

(da una lettera di Verdi a Giovanni Ricordi - Parigi, 15 ottobre 1847 - in merito alla sua opera "Jérusalem")



ASPETTI SCENICI PENSATI DA GIUSEPPE VERDI, COLLEGATI SEMPRE ALLE SUE NOTE MUSICALI (Rigoletto):

In merito a Rigoletto, il 14 dicembre 1850, Verdi scrive al presidente della Fenice a proposito delle modifiche imposte al libretto di Rigoletto. Tra le altre rimostranze sbotta a proposito della scena finale:
"Non capisco perché siasi tolto il sacco! Cosa importava del sacco alla Polizia? Temono dell'effetto? Ma mi si permetta di dire: perchè ne vogliono sapere in questo più di me? Chi può fare da Maestro? Chi può dire questo farà l'effetto, e quello no? [...] Tolto quel sacco non è probabile che Triboletto parli una mezz'ora al cadavere prima che un lampo venga a scoprirlo per quello di sua figlia. Osservo infine che s'è evitato di fare Triboletto brutto e gobbo! Un gobbo che canta? Perchè no?... Farà effetto? Non lo so; ma se non lo so io, non lo sa, ripeto, neppure chi ha proposto questa modificazione. Io trovo appunto bellissimo rappresentare questo personaggio esternamente difforme e ridicolo e internamente appassionato e pieno d'amore. Scelsi appunto questo soggetto per tutte queste qualità, e questi tratti originali; se si tolgono, io non posso più farvi musica. Se mi si dirà che le mie note possono stare anche con questo dramma, io rispondo che non comprendo queste ragioni, e dico francamente che le mie note, belle o brutte che siano, non le scrivo mai a caso e procuro di darvi sempre un carattere."


 
PRESCRIZIONI DI GIUSEPPE VERDI SUL RISPETTO ESECUTIVO DELLE SUE OPERE (La forza del destino - Falstaff):

A Giulio Ricordi - Genova, 11 aprile 1871

Ho letto il vostro articolo, che vi rimando, sull'orchestra, e credo vi sarebbe a ridire:
1) Sulle intenzioni e sull'efficacia istromentali dei Maestri nostri che voi citate.
2) Sulla divinazione dei Direttori... e "sulla creazione ad ogni rappresentazione"...(...) io voglio un solo creatore, e m'accontento che si eseguisca semplicemente ed esattamente quello che ho scritto; il male sta che non si eseguisce mai quello che è scritto. (...) Io non ammetto né ai Cantanti né ai Direttori la facoltà di "creare", che, come dissi prima, è un principio che conduce all'abisso... Volete un esempio? Voi mi citaste altra volta con lode un effetto che Mariani traeva dalla sinfonia della "Forza del Destino", facendo entrare gli "ottoni" in "sol" con un fortissimo. Ebbene: io disapprovo quest'effetto. Quelli ottoni a "mezza voce" nel mio concetto dovevano, e non potevano esprimere altro, che il Canto religioso del Frate. Il "fortissimo" di Mariani altera completamente il carattere, e quello squarcio diventa una fanfara guerriera: cosa che non ha nulla a che fare col soggetto del dramma, in cui la parte guerriera è tutt'affatto episodica. (...)

A Giulio Ricordi - S. Agata, 9 giugno 1894

(...) 1.° Io ho il diritto che le mie opere, come da contratto, vengano eseguite come le ho scritte.
2.° L'Editore deve mantenere tale diritto, e se in Francia, come voi diceste, non ha abbastanza autorità, subentro io come autore e domando che "Falstaff" venga eseguito come io l'ho immaginato.
Domando questo formalmente e deploro che siensi fatte recite all'Opéra Comique in modo mostruoso ed umiliante. (...) io non sono disposto affatto a tollerare questo che io considero come un insulto artistico.


Il diapason universale (o Corista unico) secondo Verdi, con Pedrotti, Bazzini, Ponchielli, Rossi, Faccio, Boito e Marchetti

Il CORISTA UNICO secondo Verdi ...il Diapason 'verdiano', tra 435 e 432 Hz... Tuning Fork a1=435 compound vibrations (la3=870 v. s.)...